La Germania premia il multiculturalismo, che sempre più la caratterizza, paese con una notevole miscela di apporti culturali, sociali ed economici. Una diversity che vede soprattutto protagonista la comunità turca. Non è un caso che sia stata una scrittrice di origine anatolica, Emine Sevgi Özdamar, a ricevere, quest’anno, l’ambito premio letterario tedesco Georg Büchner, probabile anticipo di una prossima candidatura al premio Nobel.

FA PARTICOLARMENTE piacere questo riconoscimento in un momento in cui l’Europa vive pericolosi rigurgiti nazionalistici, venati di xenofobia, se non di vero e proprio razzismo. Va apprezzata la scelta, emblematica, dell’Accademia Tedesca per la Lingua e la Letteratura, decisamente in contro tendenza.

Nata a Malatya, la città dell’Anatolia sudorientale orgogliosa delle sue rinomate albicocche secche, emigra in Germania due volte – la prima nel 1965, come Gastarbeiterin, come allora erano definiti i lavoratori immigrati, la seconda, come esule, dopo il colpo di stato militare del 1971, dopo che era rientrata in Turchia, a Istanbul. Qui frequenta l’Accademia di Arte Drammatica e prende parte al movimento di protesta degli anni Sessanta e Settanta.

L’ESILIO A BERLINO è politico e intellettuale, ed è necessario anche per la salute della sua lingua. In seguito alla repressione, infatti, non è più in grado di esprimersi come vorrebbe, sente il bisogno di curare la lingua madre in uno Sprachsanatorium, un sanatorio della lingua che a suo dire si trova in Germania. È la Volksbühne di Berlino Est, dove è accolta dall’allievo di Bertolt Brecht Benno Besson, con cui lavorerà per anni.

Proprio la lingua, allora ferita, che le rende insopportabile il paese in cui la libertà di espressione è cancellata e che l’ha spinta ad allontanarsi dalla sua terra e dai suoi cari, col tempo è rinata. Si è trasformata durante un lungo percorso compiuto come attrice, assistente e regista di teatro e scrittrice. Ora nelle sue opere usa una lingua unica, gioca con le parole, le trasforma, crea neologismi sia grazie a invenzioni originali sia ispirandosi alla lingua turca. Nomi come Anna Magnani diventano «mamma Magnani», perché «ana» in turco vuol dire mamma. Quella che in un momento cruciale della vita era un punto debole è ora uno dei suoi maggiori punti di forza.

Sono passati decenni, l’apparente semplicità dei testi di Özdamar ha portato talvolta a una sottovalutazione della sua opera, considerata letteratura di minor valore. Ora però la giuria che in passato ha conferito lo stesso premio a scrittori del calibro di Max Frisch e Günter Grass, Heinrich Böll e Christa Wolf, ne valorizza i «mezzi stilistici letterari sconosciuti ed espressioni d’ispirazione turca» e dichiara che «il lavoro di Emine Sevgi Özdamar apre un dialogo tra lingue, culture e visioni del mondo differenti che è insieme intellettuale e poetico».

L’ESSENZA DELLA SUA OPERA è colta in pieno. La giuria ne mette in luce sì lo stile peculiare e di grande valore, ma non lo considera l’unico merito. Sottolinea anche ciò di cui la lingua è lo specchio, ovvero il confronto costruttivo di diverse culture e visioni del mondo. Elementi che emergono in tutte le sue opere, come nelle raccolte La lingua di mia madre e Il cortile nello specchio o nei romanzi Il ponte del Corno d’oro, Das Leben ist eine Kararwanserei, Seltsame Sterne starren zur Erde (non ancora tradotti in italiano) e nell’opus magnum, l’ultimo romanzo Ein von Schatten begrenzter Raum, pubblicato nel 2021 da Suhrkamp.

RAGGIUNTA AL TELEFONO dopo la notizia del premio che ha ricevuto, Emine sorprende come sempre, proponendo uno sguardo non convenzionale sulle cose e ringraziando chi in Italia si è occupato del suo lavoro – il manifesto nel 2013 le dedicò una lunga intervista di Margherita Bettoni e nel 2018 un articolo di Giovanni Sampaolo. «Ci sono persone che mi hanno sempre apprezzato – dice – e che si sono occupate del mio lavoro. È come un cielo personale. Tu fai qualcosa qui, lui lì, lei là. E ora il cielo intero si sta aprendo, ma solo grazie al lavoro di questi cieli personali».