La quotidianità dei palestinesi sotto occupazione è un elenco di morti, feriti, violenze, privazioni, diritti negati, di cui i tre uccisi ieri dall’esercito israeliano – tre combattenti delle Brigate di Al Aqsa – nel campo profughi di Balata (Nablus) in Cisgiordania, sono soltanto la notizia che fa più rumore. Senza un loro Stato e, di conseguenza, di una economia strutturata in grado di provvedere ai bisogni di quasi sei milioni di persone tra Cisgiordania e Gaza, i palestinesi sono largamente dipendenti dagli aiuti internazionali, anche alimentari. E sempre più spesso devono fare i conti con annunci simili a quello fatto domenica da Samer Abdeljaber, direttore del Programma alimentare mondiale (Wfp) a Gerusalemme: a partire da giugno l’agenzia dell’Onu sospenderà gli aiuti alimentari a oltre 200.000 palestinesi a causa della mancanza di fondi.

Le famiglie più colpite dal provvedimento sono a Gaza, dove l’insicurezza alimentare e la povertà sono le più alte: dei 2,3 milioni di abitanti il 45% sono disoccupati e l’80% dipende dagli aiuti. Il Wfp offre ai palestinesi in povertà buoni mensili del valore di 10,30 dollari a persona e cesti alimentari. Ora i fondi stanno per finire. E il rischio che qualcuno muoia di fame a Gaza, nonostante la solidarietà tanto diffusa tra gli abitanti, è reale.

Nella Gerusalemme palestinese non va molto meglio. La scorsa settimana il ministro (nazionalista religioso) israeliano delle finanze, Bezalel Smotrich, si è opposto con forza all’approvazione di un piano quinquennale da centinaia di milioni di euro, pronto da tempo, volto a migliorare la vita a Gerusalemme est, il settore arabo della città occupato nel 1967 largamente trascurato dall’amministrazione comunale israeliana. Domenica il piano è stato rimosso dall’agenda del governo. Invece, riferisce il quotidiano Haaretz, sono state approvate proposte di cui beneficeranno l’organizzazione dei coloni israeliani Elad e vari gruppi di ultranazionalisti. Il governo inoltre ha stanziato altri 250 milioni di shekel (circa 62 milioni di euro) per le scuole religiose ultraortodosse, in modo da garantirsi l’approvazione della legge di bilancio, e ha dato il via libera alla costruzione di 400 case per coloni ad Abu Dis, un sobborgo palestinese di Gerusalemme Est.

Anche gli Stati uniti hanno protestato per la seconda «visita» del ministro Itamar Ben Gvir sulla Spianata delle moschee. Girano indiscrezioni sui motivi che avrebbero spinto l’ultranazionalista Ben Gvir a tornare sulla Spianata proprio due giorni fa. Qualcuno spiega che il ministro, facendo salire la tensione con le sue dichiarazioni sul pieno «controllo israeliano» del sito religioso islamico, ha provato a far deragliare il negoziato in corso dietro le quinte tra Israele e Arabia saudita su alcuni punti che riguardano anche i palestinesi. Nelle ultime ore Netanyahu ha parlato con il principe ereditario saudita Mohamed bin Salman (Mbs) dell’avvio di voli diretti tra Israele e Gedda il mese prossimo. Prima Joe Biden e ora, pare, anche Mbs premono affinché Netanyahu accetti il passaggio di alcuni poteri in Cisgiordania dall’esercito israeliano al governo palestinese e il coinvolgimento l’Anp di Abu Mazen nella gestione della Spianata delle moschee e del Santo sepolcro. Da qui il proclama di Ben Gvir sulla sovranità totale di Israele sui luoghi santi.