Accade che un ex-presidente, Donald Trump, sia arrestato e pubblicamente ammanettato da agenti che lo trascinano via senza andare tanto per le spicce. Le immagini fanno il giro del mondo. Come fosse avvenuto davvero ma, come si sa, non è accaduto.

Anche se Trump aveva immaginato una scena così, annunciando la settimana scorsa il suo prossimo clamoroso arresto ordinato dal tribunale di New York. Indicando anche il giorno preciso: martedì. Un annuncio che buona parte dei media aveva preso sul serio, come una notizia reale, dimenticando che la Casa bianca di Trump detiene il copyright degli alternative facts, per dirla con la sua autrice, la portavoce presidenziale Kellyanne Conway.

DA ALLORA L’INTELLIGENZA artificiale è andata molto di corsa tanto che ora può proporre ai media, e soprattutto ai social, una realtà alternativa che è identica alla realtà reale, sia per la precisione della messa in scena sia per la sua verosimiglianza: specie quando si entra nel Trumpworld.

Le fake news e il deepfake sono artifici ostili di cui in genere i potenti sono vittime. Nel caso di Trump – ne sia il diretto regista o ne sia l’inconsapevole protagonista – fanno parte del suo repertorio, strumenti che usa con cinica disinvoltura. Sono parte del suo personaggio, un mix che ne fa una figura ai confini con la fantapolitica. Kellyanne era molto seria quando parlava di alternative facts. E andava presa sul serio, invece che finire nel tritacarne della satira.

Artefice e creatura della fantapolitica, Trump era per questo destinato a essere effimero, come si è sostenuto più volte, nella convinzione che la sua apparizione sulla scena washingtoniana e la sua presa del potere fossero un’anomalia quasi inspiegabile in un sistema politico funzionante, al massimo bisognoso di alcune riforme. Quel sistema non funziona e Trump ne è l’evidenza, non un fastidioso, passeggero, difetto.

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La politica non è riuscita a sbarazzarsene e la via giudiziaria finora non ha avuto successo, se non gli ha dato addirittura più forza. Vedremo in queste ore, in questi giorni se all’arresto virtuale seguirà l’arresto reale.

SIGNIFICHERÀ FINALMENTE l’inizio della sua fine? La domanda va rivolta al suo partito, che fin dall’annuncio della sua prima candidatura presidenziale, immortalata mentre scende con la scala mobile della sua Trump Tower, si chiede se non sia arrivato il momento di rompere con The Donald. Ma i repubblicani hanno uno stomaco di ferro: digeriscono gli insulti pesanti e personali alla dinastia Bush, le offese alla memoria di John McCain, il linguaggio oltraggioso contro le minoranze, i modi da bullo con le donne, la vicenda della pornostar al centro dell’indagine newyorkese, che dovrebbe indignare i benpensanti. Senza contare le operazioni politiche di chiaro stampo sovversivo durante la sua presidenza e poi per conservarla contro il volere degli elettori.

ADESSO CHE È in evidente difficoltà i big repubblicani potrebbero approfittare per metterlo alle corde e poi cacciarlo dal ring. Sta succedendo il contrario, ancora una volta. Il gioco d’anticipo di Trump nei confronti del giudice Alvin Bragg – con l’annuncio del suo arresto, un espediente della realtà alternativa, appunto – ha prodotto l’allineamento di tutti i big del partito, anche quelli che si propongono apertamente o a bassa voce come suoi possibili concorrenti per la nomination presidenziale del 2024, Pence, Pompeo, Haley e lo stesso DeSantis.

Tutti uniti nell’attaccare il giudice newyorkese, colpevole di essere African American e democratico. Anche in questo contesto, immaginare un Partito repubblicano “normale” e un Trump anomalo è assolutamente fuorviante. I big del Grand Old Party sono tutti più a destra dell’ex-presidente e hanno fatto terra bruciata di ogni qual sia pur minima traccia di tradizione repubblicana laica, responsabile, aperta, che pure era parte di quel partito.

La differenza è che Donald Trump sa giocare molto, molto pesante, con metodi mafiosi e ricattatori, mescolati con un sapiente uso dei social, costantemente rivolto alla sua base, pronta a entrare in azione contro chi osi solo pensare di sbarrare la strada al suo presidente.

NE SA QUALCOSA DeSantis – che, tra l’altro, come governatore della Florida avrebbe il compito di eseguire l’eventuale esecuzione di misure giudiziarie a carico di Trump a Mar-a-Lago – preso pesantemente di mira da Trump per essere stato leggermente esitante nel prendere le sue parti nel processo newyorkese con al centro la pornostar Stormy Daniels. Trump ha condiviso vecchie immagini del suo avversario, insegnante ventitreenne, in compagnia gaudente di giovani studentesse, probabilmente minorenni, e in vista una bottiglia, con insinuazioni e allusioni sfondo sessuale.

I SONDAGGI incoraggiano Trump a proseguire su questa strada lastricata di bugie, ricatti e insulti verso i suoi concorrenti. Secondo l’ultimo rilevamento, eseguito da Monmouth University Poll tra elettori repubblicani ed elettori simpatizzanti repubblicani, Trump ha quasi il doppio dei consensi rispetto a DeSantis e molto più della somma di tutti gli altri potenziali competitor messi insieme. Ma soprattutto vede aumentare il sostegno a suo favore.