Un sistema politico malato cronico e in progressivo declino, senza vera libertà di parola, causa di instabilità globale. È questo il modo in cui il governo cinese racconta gli Stati uniti nel report sullo «stato della democrazia americana». Un documento diventato tradizione annuale, dopo che la cosiddetta guerra commerciale è tracimata in una contesa a tutto campo che include una battaglia retorica sempre più virulenta.

IL REPORT è ovviamente organico alla narrativa del Partito comunista, ma offre la visione che l’apparato di Xi Jinping ha degli Stati uniti. E lancia segnali sia a Washington che agli stessi cinesi. A partire dalla data di pubblicazione del ministero degli Esteri: lunedì 20 marzo, proprio nelle ore in cui il presidente cinese atterrava a Mosca.

Un modo per ribadire che Pechino non cerca compromessi per riavviare il dialogo e soprattutto che considera il suo modello in ascesa e più efficace di quello rivale. Non a caso un libro bianco rilasciato dal Consiglio di stato nel 2021 lo definisce «vera democrazia».

Già il preambolo del nuovo documento è una sentenza: «Nel 2022, negli Stati uniti è continuato il circolo vizioso di pretese democratiche, politica disfunzionale e società divisa», mentre «le fratture sociali e il divario tra ricchi e poveri si sono aggravati. I malesseri che affliggono la democrazia americana hanno infettato profondamente le cellule della politica e della società, rivelando ulteriormente il fallimento della governance e i difetti istituzionali».

Nella prima parte ci si concentra sulle dinamiche interne. La prospettiva cinese è quella di due partiti, Democratici e Repubblicani, fagocitati dalle componenti più radicali.

IL RISULTATO è una crescente polarizzazione in cui i politici antepongono gli interessi partitici e personali a quelli del paese. «Il denaro è il latte materno della politica e le elezioni si trasformano sempre più in monologhi dei ricchi», tanto che la libertà di parola sarebbe solo una facciata, dietro la quale si cela un sistema mediatico eterodiretto. Accusa che può sembrare paradossale per un paese con un controllo così forte sull’opinione pubblica.

Ma qui il messaggio è rivolto soprattutto all’interno: il controllo forte del Partito comunista garantisce ordine e una strategia al servizio delle esigenze nazionali. Pechino parla anche di una «guerra civile silenziosa» che sarebbe in corso negli Usa. A suffragio della teoria viene citato quanto accaduto a Capitol Hill.

Nella seconda metà del testo ci si focalizza sugli effetti globali del «caos americano». Si legge che «nonostante tutti i problemi che affliggono la propria democrazia, gli Stati uniti rifiutano di riflettere su se stessi, ma continuano a esportare i valori democratici americani in altri paesi e a usare il pretesto della democrazia per opprimere». Secondo il governo cinese, Washington avrebbe esacerbato «la divisione nella comunità internazionale e il confronto tra blocchi», a causa di una politica estera ostaggio della «polarizzazione politica».

TANTO da diventare «estrema» e reiterare le tante volte citate «egemonia» e «mentalità da guerra fredda». Come esempi citati l’ormai celeberrima «benzina sul fuoco» sull’Ucraina e il viaggio a Taipei di Nancy Pelosi dello scorso anno.

In linea coi discorsi di Xi e le iniziative più recenti sulla sicurezza e la «civiltà globale», si rifiuta la prospettiva di uno scontro tra democrazie e autoritarismi, proponendo un concetto di sviluppo olistico in cui i valori democratici possono essere declinati in diversi modi. Tutti legittimi. Anche se, nella visione di Pechino, il suo è un po’ più «vero» degli altri.