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Il fattore astensione: vince chi mobilita i suoi elettori

Il fattore astensione: vince chi mobilita i suoi elettori

Siamo ancora lontani da una vera democrazia trans-nazionale, ma il peso delle famiglie politiche continentali è stato molto più presente che in passato

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 9 giugno 2024

Il dato politico saliente è però un altro: nonostante le polemiche dei mesi scorsi, in ben 22 casi su 29 si presentano coalizioni più o meno ampie che vedono comunque la presenza insieme del Pd e del M5S. Il voto in queste città, e il contemporaneo voto europeo, potrà dirci qualcosa sul «rendimento» di queste alleanze, ma soprattutto sul vero e proprio rebus che riguarda il partito di Conte: quale è la sua vera «consistenza»? Quella fragile del voto locale e regionale o quella robusta che tutti i sondaggi, in questi mesi, hanno continuato stabilmente ad attribuirgli sul piano nazionale? Forse sono vere entrambe; ma avere un’ulteriore conferma di questo divario strutturale, o capire se si riduce o si accentua, assume un notevole rilievo politico.

Ovviamente, saranno importanti le sfide di Firenze e Bari; ma, scorrendo la mappa delle città al voto, si possono trovare molti altri luoghi da tenere sotto speciale osservazione, ossia alcune città conquistate dalla destra cinque o dieci, o anche più anni fa: Perugia, in primo luogo; ma poi anche Forlì e Ferrara; o in Toscana, anche una città operaia come Piombino o storiche roccaforti rosse come Cortona. Nelle ex-regioni rosse, più in generale, si tratta di capire se l’insediamento della destra, avvenuto negli ultimi dieci anni, si sta consolidando o può essere ancora rimesso in discussione.

E POI CI SONO LE EUROPEE: in che misura queste elezioni possono essere viste come un indicatore affidabile dell’andamento dei rapporti di forza tra i partiti? La cautela è d’obbligo: in passato, com’è noto, le europee sono state elezioni segnate da una grande volatilità degli elettori, con risultati poi spesso sconfessati dalle successive elezioni politiche. Può darsi però che il contesto politico, italiano ed europeo, porti oggi ad una maggiore stabilità del voto: sarà un voto che si colloca sulla scia delle elezioni politiche del 2022, o ci sarà una, sia pur parziale, inversione di tendenza?

Sui giornali impazza il tradizionale gioco delle “asticelle”; un solo dato, tuttavia, ci sembra utile ricordare: il 22,7% fu ottenuto nel 2019 da un Pd che aveva dentro sia Renzi che Calenda (oggi dati, insieme, al 5-6%). Ecco un altro parametro di valutazione: un risultato del Pd che graviti intorno almeno al 20% può essere considerato un successo politico per il partito. E sarà anche molto interessante guardare ai voti di preferenza nelle liste del Pd: una delle poche occasioni in cui le varie “anime” e posizioni possono davvero misurare la loro effettiva presa sull’elettorato e anche dentro il partito.
Ma decisivo, come sempre più spesso accade, sarà il livello della partecipazione, su cui incide la percezione della rilevanza politica del voto. Tradizionalmente, le europee hanno registrato sempre il più basso ranking di interesse: sarà ancora così, o queste elezioni ridurranno il divario? Nel 2014 votò il 58,7% e poi alle politiche del 2018 il 72,9%; nel 2019, il 56,1% alle europee e poi il 63,9% alle politiche del 2022. La forbice sembra ridursi, pur nella generale tendenza al ribasso: sarà ancora così?

L’ASTENSIONISMO non è un fenomeno indifferenziato: il livello di partecipazione esprime in primo luogo il grado di mobilitazione dei vari segmenti dell’elettorato, è un fenomeno asimmetrico. E alle europee questo fattore può giocare un ruolo rilevante: la combinazione tra un calo dei votanti (degli altrui votanti) e una buona mobilitazione dei propri elettori può essere il vettore di un significativo successo elettorale e produrre notevoli sbalzi nelle percentuali. Anche qui vedremo chi sarà premiato o punito da queste dinamiche: i dati sulla partecipazione, e la loro geografia, prima ancora dello spoglio dei voti, ci potranno dire molto.

Infine, una notazione di carattere più generale sulla campagna elettorale. Forse per la prima volta queste elezioni europee segnano alcuni elementi di novità: il tema delle «famiglie politiche» che si confrontano in Europa, e delle loro possibili alleanze, è stato molto più presente che in passato, e in ogni paese europeo se ne sta discutendo; così come si è diffusa una certa consapevolezza del ruolo che queste elezioni potranno avere sulla futura governance della Ue, a cominciare dagli equilibri con cui sarà composta la nuova Commissione. Siamo ancor lontani da una vera democrazia trans-nazionale, ma, per il momento, ci possiamo accontentare: andare a votare per fermare Le Pen-Salvini-Orban-Meloni-Abascal, e compagnia bruta, ci sembra già un motivo più che sufficiente a farci prestare attenzione a questa prossima scadenza.

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