Ma perché dopo due anni di guerra i civili rimasti nel Donbass non se ne vanno? Il pensiero si sofferma sempre su questa domanda scontata quando vedi gli anziani che trascinano a fatica i carrellini carichi di acqua o provviste sulle strade dissestate dei paesini a ridosso del fronte.

«Sono separatisti, aspettano i russi», rispondono generalmente i soldati. Dopo averne conosciuti decine pensi di averci capito qualcosa: sono solo persone legate alla propria casa, alla propria terra, alle abitudini (che a volte includono la nostalgia dell’Urss, in effetti); non riescono neanche a immaginarsi altrove.

Negli ultimi giorni abbiamo constatato che la stanchezza della guerra è riuscita a vincere anche loro, solo che c’è un altro ostacolo insormontabile: la pensione non basta.

OGGI INIZIA il terzo anno di guerra e osservando attentamente il contesto dell’Ucraina orientale è lampante che il prolungarsi del conflitto ha creato una separazione netta tra chi può permettersi di resistere e chi non può. Non è una questione di coraggio o di volontà ma di disponibilità economica. Anche se non è tutto uguale qui a Siversk.

Elena, che si era affaticata fino al 5° piano di un palazzo abbandonato per mostrarci la sua «porta sul cielo», ovvero il suo appartamento sventrato da un missile russo, se n’è andata. Olga, che friggeva piroshki buonissimi in una padella vecchia quasi quanto lei, pure.

Il vecchio Ivàn che ammucchiava legna dagli arredi dei negozi bombardati e poi la tagliava minuziosamente, per tutto il giorno salvando dal gelo notturno le sue vicine, non si vede.

«Si sono fatti evacuare», spiega un altro anziano che stoico si scalda un po’ al sole su una panchina fuori da un rifugio. «Pavlograd, Dnipro, Kiev… non so di preciso». E lui? «Dove dovrei andare, a fare cosa, chi mi ci porta?». «Ma il governo ucraino non ha un piano di assistenza per chi viene evacuato dalle zone di guerra?». L’uomo si lascia andare un gesto di stizza: «Una volta forse, ora non ci sono più soldi, con la pensione come faccio a vivere altrove?».

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IL VECCHIO rifugio di Olga ed Elena è diventato «casa sicura» dei militari di stanza in città. Il comandante, un graduato con due stellette, non tollera la nostra intrusione e non serve spiegargli che conosciamo delle persone qui, requisisce i documenti e si allontana per i controlli.

«Ma vi rendete conto – riprende – che il 90% degli attacchi russi sulle nostre posizioni vengono calibrati sulle informazioni che l’intelligence nemica prende da fonti open source (di pubblico accesso su internet, ndr) proprio dalle immagini e dai video che voi giornalisti pubblicate?».

La percentuale sembra un po’ alta, comunque proviamo a spiegargli che siamo interessati solo ai civili. Lui si arrabbia ancora di più e si lancia in un lungo rimprovero. Un attendente armato con il kalashnikov in pugno è alle sue spalle, intorno i militari sono indaffarati. Dopo la ramanzina ci lascia andare e raccomanda di non stargli tra i piedi, ha cose più importanti a cui pensare.

Incontriamo Maria, minuta e raggrinzita ma con gli occhi svegli di un azzurro tagliente. «Con l’aiuto di Dio supereremo anche questa» e si fa il segno della croce. Maria era un’insegnante all’asilo comunale. «I miei bambini mi chiamano ancora, dalla Germania, la Polonia, l’Italia, sono sparsi in tutta Europa ma si ricordano della loro vecchia maestra», racconta allegra.

Lei ha un motivo pratico per non andarsene, che in realtà vale per tutti qui, «la mia pensione è di 2.300 grivnia al mese (poco più di 50 euro, ndr), dove potrei sopravvivere con questa cifra?». «Ma – riprende subito a scanso di equivoci – non mi voglio lamentare, gloria a Dio che ci ha mantenuti vivi e sarà ciò che Egli vorrà».

«SE ARRIVASSERO i russi resterebbe?», le chiediamo. «Io voglio solo la pace, al più presto possibile, la pace per tutti. Questa guerra ci sta rovinando, troppi sono morti».

I soldati ucraini si comportano bene con lei? «Sì, sono bravi ragazzi, ma ti dico una cosa: fin dall’indipendenza il governo ucraino non ha mai prestato abbastanza attenzione a noi qui nell’est. Le pensioni, le condizioni di lavoro… molti problemi sono nati anche da questo. Non ce l’ho con nessuno, dico solo che ci siamo sentiti abbandonati per molti anni». Prima di lasciarci andare ci rimprovera bonariamente di frequentare luoghi troppo pericolosi e ci dà la sua benedizione.

«Dove dovrei andare?», è la risposta che ci danno anche altre signore in attesa davanti a una distribuzione di aiuti umanitari. Anche loro percepiscono 2.300 grivnia di pensione «e lo sai quanto costa un kg di salsicce di bassa qualità? 230 grivnia! Come lo pago l’affitto, la spesa, le medicine?».

Nel rigido inverno dell’est, dovunque ti volti, sulle facce di chi si trova tra i due eserciti leggi che nulla è cambiato dalla notte dei tempi: la guerra la iniziano i ricchi ma sono i poveri a pagarne le conseguenze.