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Il diritto residuale del mare

Il diritto residuale del mareA bordo della Geo Barents – Medici senza frontiere via Twitter

Migranti Piantedosi e Salvini minacciano i comandanti delle navi che si rifiuteranno di riportare in acque internazionali persone considerate come “carico residuale” e non obbediranno ad un decreto illegittimo, sia nelle premesse che fanno riferimento a Regolamenti europei ormai abrogati, che nel dispositivo, secondo il quale il comandante della nave, dopo la selezione dei naufraghi “vulnerabili”, dovrebbe uscire dal porto e ritornare in acque internazionali

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 8 novembre 2022

Prosegue lo stallo dentro il porto di Catania, con due navi delle Ong (Humanity 1 e Geo Barents) bloccate per il mancato sbarco di tutti i naufraghi, l’Ocean Viking di Sos Mediterranée rimasta al limite delle acque territoriali per completare in un porto sicuro le attività di salvataggio intraprese oltre una settimana fa, mentre la Rise Above si è diretta verso Reggio Calabria, dopo essere rimasta per giorni al largo della costa orientale siciliana.

Intanto la Commissione europea richiama l’Italia, invitandola a «minimizzare la permanenza delle persone a bordo delle navi». Come peraltro prescrivono il diritto internazionale del mare e il Regolamento europeo n.656 del 2014. Ma il governo italiano replica con i consueti slogan propagandistici sulla difesa dei confini e si profilano le prime sanzioni pecuniarie nei confronti delle Ong, mentre non si possono escludere iniziative giudiziarie da parte della Procura di Catania, che ha indagato per anni, senza alcun esito, sui soccorsi operati dalle navi umanitarie. Piantedosi e Salvini minacciano anche i comandanti delle navi che si rifiuteranno di riportare in acque internazionali persone considerate come “carico residuale” e non obbediranno ad un decreto illegittimo, sia nelle premesse che fanno riferimento a Regolamenti europei ormai abrogati, che nel dispositivo, secondo il quale il comandante della nave, dopo la selezione dei naufraghi “vulnerabili”, dovrebbe uscire dal porto e ritornare in acque internazionali. Anche se nessuno Stato, incluso quello di bandiera, ha dato disponibilità per garantire un porto di sbarco sicuro dopo gli “sbarchi selettivi” effettuati nel porto di Catania.

Sono infatti rimaste senza risposte le “note verbali” trasmesse dalla Farnesina ai paesi di bandiera delle navi soccorritrici, che si basavano sulla tesi che la competenza ad indicare un porto di sbarco doveva essere assunta dallo Stato di bandiera delle navi che avevano operato i soccorsi. Una tesi priva di basi legali e già in passato, nei processi contro le Ong, smentita dai provvedimenti di archiviazione delle accuse formulate dagli organi di polizia. Ma il governo italiano ha preferito raccogliere il plauso di Orbán per questa nuova prassi di «difesa dei confini esterni dell’Unione Europea».

Mentre Salvini torna a parlare di «viaggi organizzati», baluardo della sua difesa nel processo in corso a Palermo sul caso Open Arms, la scelta dell’attuale governo di fare entrare le navi per sbarcare solo una parte dei naufraghi costituisce una novità rispetto al passato, quando si vietava addirittura l’ingresso nelle acque territoriali o nei porti. Adesso le navi delle Ong sono entrate in porto su richiesta delle autorità marittime italiane, che dunque non hanno evidentemente considerato come passaggio «non inoffensivo» in base alla Convenzione Unclos (art.19 ) il loro ingresso nelle acque territoriali italiane. È fallito così il tentativo di configurare come attività contro le leggi sull’immigrazione le operazioni di ricerca e soccorso in acque internazionali svolte nel Mediterraneo centrale da navi inviate da organizzazioni non governative.

Ai comandanti della Humanity 1 e della Geo Barents, in base al decreto Piantedosi, è stato tuttavia vietato «di sostare nelle acque territoriali nazionali oltre il termine necessario ad assicurare le operazioni di soccorso e assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali e in precarie condizioni di salute segnalate dalle competenti Autorità nazionali». «A tutte le persone che restano sulla imbarcazione sarà comunque assicurata l’assistenza occorrente per l’uscita dalle acque territoriali». Sotto questo profilo si è introdotta una prassi discriminatoria che nega l’accesso al territorio ed alla procedura di asilo a una parte soltanto dei naufraghi, sulla base di accertamenti medici che potrebbero nascondere, sulla base dei risultati noti, una precisa selezione in base alla nazionalità, come se coloro che provengono dagli orrori della Libia ma sono originari del Bangladesh o del Pakistan non avessero diritto al riconoscimento di uno status di protezione in Italia.

Eppure i Tribunali e la Cassazione hanno, in numerosi casi, ribaltato le decisioni negative delle Commissioni territoriali ed hanno riconosciuto anche per persone provenienti da questi paesi uno status di protezione. Il Regolamento Dublino III del 2013, che le destre europee non hanno voluto modificare, e le Direttive sulle procedure non prevedono la selezione dei naufraghi a bordo delle navi e tantomeno la presentazione delle domande di asilo ai paesi di bandiera delle stesse.

Si minacciano nuovi processi contro i comandanti delle Ong. Non si può restare in attesa che la magistratura penale faccia il suo corso, particolarmente accidentato qualora dovessero emergere responsabilità ministeriali. Occorre che i cittadini solidali si organizzino per denunciare le inadempienze delle autorità governative e per promuovere iniziative sul territorio di concreta solidarietà ai migranti, in difesa dei loro diritti. Non si possono utilizzare i corpi e le vite delle persone bloccate sulle navi o abbandonate in mare per eludere gli obblighi di soccorso e ricattare l’Unione europea in vista della modifica del Regolamento Dublino, trasformando esseri umani in ostaggio.

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