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Il diritto non ha fallito, ha fallito l’Occidente

Il diritto non ha fallito, ha fallito l’OccidenteI giudici della Corte internazionale di Giustizia che lo scorso gennaio hanno accolto il caso mosso dal Sudafrica per genocidio plausibile in corso a Gaza foto Afp/Nick Gammon

Tremenda vendetta L’Onu e l’Aja hanno agito secondo le norme internazionali. A paralizzarle l’inerzia e il doppio standard degli Stati

Pubblicato circa 14 ore faEdizione del 5 ottobre 2024

A un anno dal 7 ottobre, la situazione in Medio Oriente appare sempre più drammatica. La risposta militare israeliana ai sanguinosi attacchi di Hamas e Jihad islamica ha già mietuto più di 41mila vittime palestinesi. Il 90% della popolazione della Striscia di Gaza è sfollata, intrappolata in una prigione a cielo aperto dove scarseggiano cibo, acqua e forniture mediche e dove è impossibile garantire standard igienici dignitosi. Le trattative per la liberazione degli ostaggi israeliani sono in stallo, in Cisgiordania la violenza dei coloni dilaga e il conflitto si sta progressivamente allargando ad altri attori regionali.

LA COMUNITÀ internazionale non sembra in grado di governare questa spirale di violenza, né tanto meno di fermarla. È difficile non intravedere in questo un fallimento dell’ordine internazionale così come disegnato dopo la Seconda Guerra mondiale; quell’ordine internazionale improntato a ideali di giustizia e rispetto del diritto internazionale, che – negli auspici degli estensori della Carta delle Nazioni unite – avrebbe dovuto garantire la pace e la sicurezza internazionale. Più complesso è stabilire le ragioni di questo fallimento.

IL PROBLEMA non è l’assenza di norme giuridiche adeguate. Il diritto internazionale stabilisce puntualmente in quali casi sia legittimo ricorrere alle armi e disciplina altrettanto precisamente il modo in cui la violenza bellica deve essere esercitata, tanto dalle forze armate statali che dai gruppi armati non statali. Nonostante la peculiarità della situazione, la rilevanza di tali norme nel contesto del conflitto israelo-palestinese non è in discussione. Israele stesso implicitamente lo riconosce, quando utilizza (seppur in modo distorto) il linguaggio del diritto internazionale per tentare di legittimare le proprie azioni, ad esempio invocando la «legittima difesa» come giustificazione per l’intervento militare a Gaza o ricorrendo alla retorica degli «scudi umani» per addossare al nemico la responsabilità per l’inaccettabile numero di vittime civili dei propri attacchi.

SE LE REGOLE esistono, perché allora non se ne riesce ad assicurare il rispetto? Il problema è che, in un ordinamento tutto sommato poco strutturato come quello internazionale, manca un’autorità terza sovraordinata che sia in grado di reagire tempestivamente a ogni violazione commessa dai consociati. L’Onu, che pure è stata istituita proprio al fine di mantenere la pace, è tenuta ad esercitare i poteri che gli Stati membri le hanno conferito nel rispetto delle regole stabilite nella Carta delle Nazioni unite. Entro questi limiti, essa sta facendo ciò che può.

IL SEGRETARIO generale Guterres ha condannato più volte con fermezza le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele. Grande attivismo hanno dimostrato anche alcuni relatori speciali delle Nazioni unite (prima fra tutti Francesca Albanese), che già il 19 ottobre scorso evidenziavano il rischio di genocidio a Gaza. In meno di un anno, la Corte internazionale di giustizia ha adottato tre ordinanze nella controversia Sudafrica c. Israele, riconoscendo l’esistenza di un rischio di genocidio e dettando misure cautelari sempre più pervasive.

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La stessa Corte il 19 luglio ha reso un parere consultivo in cui ha affermato l’illegalità dell’occupazione israeliana e il conseguente obbligo di Israele di ritirarsi il più rapidamente possibile dai Territori palestinesi. Il 18 settembre l’Assemblea generale, che da decenni riconosce il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, ha fissato in 12 mesi il termine per completare il ritiro.

NONOSTANTE le plurime sollecitazioni, invece, il Consiglio di sicurezza – unico organo dell’Onu dotato di poteri coercitivi secondo la Carta – è rimasto sostanzialmente inerte di fronte alla violenza degli scontri a Gaza. Il veto degli Stati uniti ha bloccato qualunque azione significativa, se si eccettua l’adozione della risoluzione n. 2728 (2024) con cui il Consiglio imponeva una tregua per il mese del Ramadan, peraltro rimasta del tutto inattuata. La paralisi del Consiglio di sicurezza non è certo una novità, né tanto meno un’anomalia. Di recente, ne ha beneficiato anche la Russia, che con il suo veto ha impedito l’adozione di una risoluzione di condanna della propria aggressione all’Ucraina.

In quel caso, però, la reazione degli altri Stati è stata dura e compatta. Preso atto dell’impossibilità di adottare misure collettive in seno all’Onu, si sono assunti la responsabilità di imporre unilateralmente sanzioni contro la Russia. 43 Stati hanno inoltre segnalato la situazione dell’Ucraina alla Corte penale internazionale, consentendole di avviare tempestivamente un’investigazione sui crimini internazionali commessi nel corso del conflitto. Ben diverso è stato l’atteggiamento degli Stati nei confronti di Israele.

NONOSTANTE l’allarme genocidio suonato dalla Corte internazionale di giustizia e sebbene sia la Corte che l’Assemblea generale abbiano ribadito l’obbligo, per gli Stati terzi, di non riconoscere l’occupazione dei Territori, di non assistere Israele nel mantenerla e di cooperare per porre fine all’illecito, pochi Stati hanno interrotto completamente la fornitura di armi a Israele e alcuni hanno riaffermato il proprio sostegno militare incondizionato allo Stato ebraico.

L’accordo di associazione tra Ue e Israele non è stato sospeso. Il Regno unito e altri Stati occidentali hanno addirittura cercato di interferire con la procedura attivata davanti alla Corte penale internazionale, contestandone la competenza, e di fatto rallentando la decisione sui mandati d’arresto chiesti, ormai più di quattro mesi fa, dal Procuratore Khan nei confronti di Gallant, Netanyahu e Sinwar. Se qualcuno ha fallito, dopo il 7 ottobre, non è certo il diritto internazionale e forse nemmeno l’Onu. Sono i governi occidentali, con la loro odiosa politica dei doppi standard, ad aver tradito i palestinesi, e con essi i principi e gli ideali su cui dovrebbe fondarsi l’edificio che chiamiamo ordinamento internazionale.

*Professoressa di Diritto internazionale all’Università di Ferrara

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