L’approvazione della candidatura di Masoud Pezeshkian per le prossime elezioni presidenziali in Iran, sostenuta dal Fronte Riformista e dall’ex presidente riformista Mohammad Khatami, ha generato un acceso dibattito sulla possibile evoluzione della politica interna della Repubblica islamica. La candidatura viene vista da molti iraniani delusi e stanchi dell’attuale situazione politica, sociale ed economica come una nuova speranza, ma non senza critiche e scetticismo.

DUE SOCIOLOGHE molto attive nel movimento «Donna Vita Libertà» hanno condiviso con noi le loro opinioni contrastanti. Per la loro sicurezza ne abbiamo oscurato il cognome.
La dottoressa Farah T. è molto critica: «L’approvazione della candidatura di Pezeshkian è una mossa astuta del regime. Così di fatto ha rotto il fronte del “non voto”. La crisi economica è davvero pesante e dura da molto tempo; molte persone che non avrebbero votato andranno alle urne sperando in un miglioramento economico. Non possiamo biasimarli. È vero che una gestione governativa onesta e qualificata può migliorare la situazione economica per poco tempo, ma il candidato riformista ha ripetutamente detto che rimarrà nel quadro delle leggi attuali. Ciò significa che le leggi oppressive persisteranno e la situazione delle libertà sociali e dei diritti individuali rimarrà esattamente quella che stiamo combattendo da anni».

Farah fa un esempio: «Pezeshkian ha affermato palesemente che non potrà fare niente per i prigionieri politici. Il significato è chiaro: continuerà la censura e la sanzione di coloro che esprimeranno la loro opinione contro la linea politica del sistema. Il candidato riformista sostiene che le donne che trasgrediscono il velo islamico lo fanno a causa di una mancanza di educazione adeguata, attribuendo la responsabilità al sistema educativo. Suggerisce che un approccio più morbido e moderato potrebbe essere più efficace nel far rispettare le norme piuttosto che ricorrere a sanzioni severe. È paradossale la superficialità di questo approccio».

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«Suggerire di educare meglio le giovani generazioni per garantire la loro obbedienza ai comandamenti del regime – continua Farah – significa non rendersi conto che stiamo sfidando norme oppressive che non hanno nemmeno fondamenti solidi religiosi. Chiediamo i nostri diritti fondamentali e la nostra libertà di scelta. Il potere non si limita solo al presidente ma comprende anche l’ampia e vasta macchina della sicurezza, della repressione e del controllo in tutto il sistema amministrativo, esecutivo e persino educativo del paese, su cui il presidente non ha alcun controllo. Il fatto che una persona diventi presidente non significa che potrebbe effettuare i cambiamenti sociali senza sfidare le leggi vigenti».

Farah conclude: «Sono d’accordo con Nassirn Mohamandi, premio Nobel in carcere: il non voto è una disobbedienza sociale che dobbiamo esercitare: votare significa legittimare una politica oppressiva che nega i diritti della metà della popolazione solo per mantenere la sua parvenza religiosa e liquida la nostra lotta come sintomo dell’ingerenza occidentale».

AL CONTRARIO, la dottoressa Mitra B. vede nella candidatura di Pezeshkian un’opportunità strategica. «È un fatto accettato che i riformisti, anche in caso di vittoria, non siano in grado di provocare un cambiamento radicale nella linea politica e sociale. Tuttavia rappresentano l’unica alternativa praticabile in questo momento per ottenere un minimo di miglioramento economico e stabilire una base per future riforme più profonde».

Mitra sottolinea: «La vittoria di Pezeshkian potrebbe costituire un barlume di apertura sociale, cruciale per organizzarsi e lottare per i nostri diritti. Durante il movimento Donna Vita Libertà si è compreso quanto sia vitale avere una struttura organizzativa solida per resistere alla repressione del regime. La violenza e il controllo capillare del regime non lo hanno permesso. Nessuno garantisce che questo avvenga, ma rimanere fermi non cambia nulla».

Mitra conclude: «Sebbene i riformisti abbiano i loro limiti e non possano promettere un cambiamento radicale, dobbiamo vederli come alleati strategici. Possono rappresentare una barriera contro le forme più dure di repressione, fornendo un minimo “scudo di difesa” contro i soprusi del regime. Come ha detto un giornalista italiano: “Mi turo il naso e voto”».