Internazionale

Iran oggi al voto, riformisti favoriti ma il primo partito è l’astensione

Sostenitori del candidato alle presidenziali iraniane Masoud Pezeshkian durante un comizio a Teheran foto Ap/Vahid SalemiSostenitori del candidato alle presidenziali iraniane Masoud Pezeshkian durante un comizio a Teheran – Ap/Vahid Salemi

Elezioni Disaffezione e rassegnazione tra gli elettori per via della crisi economica e della repressione del movimento «Donne Vita Libertà». Pezeshkian dato al 33%: il declino di legittimità del regime potrebbe rallentare

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 28 giugno 2024

Si aprono oggi le urne per le elezioni anticipate del successore del presidente iraniano Ebrahim Raisi, ucciso in un incidente di elicottero lo scorso maggio. Una corsa iniziata con sei candidati selezionati (tra 80 iscritti) dal Consiglio dei Guardiani che finisce nell’apparente dualismo tra conservatori e riformisti, entrambi con minima credibilità tra la popolazione.

DOPO L’ELIMINAZIONE di quasi tutti i candidati pro-riforma nelle ultime elezioni parlamentari di marzo, l’unico elemento inaspettato è stata l’approvazione di Masoud Pezeshkian, sostenuto dai riformisti. Ciò ha acceso in parte l’interesse per le elezioni, che altrimenti sarebbero scivolate in una generale disaffezione da parte della popolazione.

Pezeshkian, cardiochirurgo, membro del parlamento per cinque mandati e ex ministro della sanità durante il governo del moderato riformista Khatami, pur definendosi ideologo intransigente, è sostenuto dal Fronte dei Riformisti e da eminenti riformatori, tra cui Khatami e l’ex ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif.

I due principali contendenti del campo conservatore sono l’ultrà Saeed Jalili e Muhammad Baqer Qalibaf. Jalili, ex capo negoziatore nucleare noto per le sue rigide posizioni, gode del vigoroso sostegno di potenti circoli di associati che gli hanno garantito una forte campagna elettorale, favorita dalla televisione di stato, controllata dagli ultraconservatori, alcuni dei quali sono suoi parenti.

Non è da meno Qalibaf, che ha iniziato la sua campagna basandosi in parte sui suoi ampi legami derivanti dalle varie posizioni di comando che ha ricoperto: capo della polizia nazionale, capo dell’aeronautica militare dei Guardiani della Rivoluzione e presidente del parlamento, oltre ai suoi numerosi rapporti d’affari.

Gli altri tre – il sindaco di Teheran Alireza Zakani, il vicepresidente e capo della Fondazione per gli affari dei martiri Amir-Hossein Ghazizadeh Hashemi, e il religioso ed ex ministro Mostafa Pourmohammadi – non avevano reali possibilità di vittoria, come confermato anche dai sondaggi. I primi due si sono ritirati ed è probabile che anche il terzo farà lo stesso all’ultimo momento.

L’INTRANSIGENZA del potere alle richieste sociali, la prolungata crisi economica in corso e la violenta repressione del movimento «Donne Vita Libertà» nel 2022 hanno generato una diffusa disaffezione e un’amara rassegnazione tra gli elettori, da livelli record. Ciò rende l’affluenza alle urne un fattore determinante.

Secondo gli ultimi dati pubblicati alla chiusura della campagna elettorale dall’agenzia di sondaggi iraniana Ispa, l’affluenza alle urne vacilla tra 46% e 54%. Il candidato dei riformisti è in testa con il 33,4%, seguito dall’ultraconservatore Saeed Jalili dato il 28,8% e dal conservatore Bagher Qalibaf con il 19,1%.

Il crescente consenso verso il candidato riformista, nonostante un’affluenza sostanzialmente stabile, indica che Pezeshkian sta guadagnando voti anche tra gli elettori conservatori. Ciò ha creato una situazione critica nel campo conservatore, con i leader e i media affiliati che esortavano i loro candidati a unirsi dietro un singolo nome per evitare la sconfitta. La legge elettorale non prevede una scadenza per la rinuncia dei candidati.

La rinuncia può avvenire anche a poche ore dalla apertura dei seggi. Tuttavia, considerando la rivalità tra i due candidati, Jalili e Qalibaf, che rappresentano diverse fazioni di potere nel campo conservatore, ciascuno con una forte personalità e una propria rete di sostenitori, è difficile immaginare che uno dei due possa cedere. Inoltre, l’eventuale ritiro di uno dei rivali conservatori non garantisce che tutti i suoi voti confluiscano all’altro, il che potrebbe aumentare la possibilità di una vittoria di Pezeshkian al primo turno (serve il 50% più uno). Nel caso in cui i due candidati conservatori rimangano in corsa, opzione più quotata, la possibilità del riformista di accedere al secondo turno è quasi certa.

IN OGNI CASO, sembra che il potere abbia considerato l’idea di accettare un governo riformista senza che questo sia necessariamente sfavorevole come potrebbe sembrare. Infatti, la vittoria del candidato riformista permetterebbe al regime di invertire il declino della sua legittimità, compromessa negli ultimi anni.

Inoltre, in caso di negoziati con gli Stati Uniti sul nucleare per rimuovere le sanzioni (una strada auspicata da Pezeshkian) e per evitare che i governi europei riattivino lo snapback delle risoluzioni delle Nazioni unite sull’Iran precedentemente annullate, il potere potrebbe nascondersi dietro il governo riformista per evitare di pagare il prezzo nei confronti dei suoi sostenitori intransigenti, sia all’interno che all’esterno del paese, e mantenere intatta l’immagine della sua leadership nel «Fronte della Resistenza».

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