Il difficile slalom della premier tra Quirinale, Lega e Europa
Oggi l'incontro con i giornalisti La sfida sul Mes sarà usata per nascondere la rotta sul Patto di stabilità
Oggi l'incontro con i giornalisti La sfida sul Mes sarà usata per nascondere la rotta sul Patto di stabilità
Meloni si è preparata coscienziosamente, come d’obbligo alla vigilia di un match impegnativo. Sa che nel vasto repertorio della politica le conferenze stampa sono il suo tallone d’Achille, la bestia nera. Ha provato e riprovato domande e risposte con gli sparring partner, i collaboratori più stretti. Arriverà all’appuntamento con un copione già pronto in mente, ma sa che in una maratona che di solito si prolunga per ore tutto può succedere.
Il passaggio più delicato è quello sulla concorrenza. «Un monito del capo dello Stato non lo si può lasciar cadere», commentano da palazzo Chigi. Di entrare in urto con Mattarella la premier non ha alcuna voglia. Però non vuole neppure «lasciare troppo spazio alla Lega», come puntualizzano dai bastioni tricolori e la Lega, o almeno il suo capo, di deferenza nei confronti del presidente stavolta non intende mostrarne alcuna. È uno di quelli, anche se non lo dice apertamente, che «in nome dell’Europa ha provato a svendere lavoro e sacrifici degli italiani». L’inquilina di palazzo Chigi non vuole irritare il presidente e allo stesso tempo non vuole frizioni con Salvini: quadrare i cerchi, al confronto, è un giochetto.
PRESA tra due fuochi, la premier si è esercitata nell’equilibrismo. Farà balenare la possibilità di modifiche ma senza impegnarsi né sul come né sul quando. L’idea del governo è fluttuare fino a dopo le europee, quando la concorrenza di Salvini non sarà più un problema. Poi, se sarà proprio necessario scorciare quella proroga di 12 anni per gli ambulanti che ai governati sembra una bazzecola e sul Colle, come a Bruxelles, pare invece uno sproposito, lo si farà.
Solo che quando si dice ambulanti si intende anche balneari e lì il tempo stringe e la Commissione stringe anche di più. Il 16 gennaio scadono i due mesi di prammatica concessi agli Stati per giustificare la mancata ottemperanza alla direttiva Bolkenstein. Finora le spiegazioni non sono bastate e nulla autorizza a sperare che le cose cambieranno nei prossimi 12 giorni. Significherebbe procedura d’infrazione: un costo, non esorbitante, in termini di penali, una mazzata molto più pesante sul piano dell’immagine.
PER IL RESTO la premier si sente sicura. Il caso Anas/Verdini certo è un problema: di Salvini però e tanto meglio così. Il capitolo alleanze europee è viscido, scivoloso. Per fortuna le elezioni sono lontane e la premier è pronta a dire il meno possibile: meglio niente che poco. Il Mes è considerato una mina vagante ma non è affatto il capitolo più temuto dalla presidente. Al contrario: rivendicherà la decisione di bloccare la riforma, la porterà implicitamente a riprova della sua grinta e della sua inflessibile scelta di tener duro anche a fronte di pressioni possenti di tutta Europa. In altre parole adopererà la sfida sul Mes, che nella sostanza è di limitata importanza, per nascondere la rotta del governo sul Patto di stabilità, che al contrario sarà incisivo subito e molto a fondo.
LA VOCE che più irrita la mamma della riforma costituzionale è la tendenza sbrigliata a trasformare la sfida referendaria finale in un’ordalia tra autoritarismo e democrazia. È precisamente il piano che avrebbe voluto evitare e pare che sia irritatissima col dottor sottile, Giuliano Amato, colpevole di non aver chiuso le porte di fronte a quella deriva, cioè a una dimensione dello scontro referendario nel quale si profila la possibilità di perdere una partita che considerava vinta in partenza grazie alla forza dello slogan «Volete scegliere voi chi vi governa o volete che siano i partiti?». Il problema è che con la sua pasticciata riforma il parlamento perderà ogni ruolo, le segreterie di partito invece no e c’è il caso che qualcuno segnali lo spiacevole particolare.
SE C’È un fronte sul quale l’irritazione della premier potrebbe tracimare è proprio la riforma costituzionale e l’accusa di attentare alla democrazia ma in realtà ce n’è uno sul quale è anche più inviperita. Il caso Pozzolo le ha dimostrato che se non rimette in riga il partito ogni sforzo per accreditarsi come leader autorevole ed efficiente, democratica anche se di destra, sarà vano. Comincia a capire di dover intervenire prima che sia tardi. Questo però eviterà di farlo trapelare.
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