La stretta di mano tra il ministro di Giustizia Nordio e il suo omologo albanese Ulsi Manja aveva suggellato, il 14 novembre 2023, l’intesa politica «di dare effettiva attuazione al protocollo bilaterale, firmato nel 2017, per il trasferimento dei detenuti albanesi dalle carceri italiane a quelle del Paese d’origine», nel quadro – così recitava la nota di via Arenula – «degli eccellenti rapporti tra i due Paesi, resi ancor più solidi dalla firma del recente protocollo sull’immigrazione da parte della Presidente Giorgia Meloni e del Primo ministro albanese Edi Rama». Quattro mesi e mezzo dopo possiamo ben dire che quella stretta di mano non aveva alcun reale significato se non quello promozionale, almeno stando al destino di un detenuto albanese di 56 anni recluso nel carcere di Torino «Lorusso e Cutugno» che dal 2019 chiede invano di essere trasferito in un penitenziario del suo Paese natale per stare più vicino ai suoi tre figli minori, e per questo è stato per mesi in sciopero della fame, della sete e delle terapie al punto da ridursi su una sedia a rotelle, «debilitato terribilmente nel corpo e nella mente, fino ad arrivare a pesare 30 chili», come riferisce la Garante dei detenuti del Comune di Torino, Monica Gallo, che da anni segue il caso.

L’UOMO, M. E., RECLUSO dal 2019 nel circuito media sicurezza con fine pena 2030, «ha tutti i requisiti richiesti dalla Convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento delle persone condannate per scontare la pena nel Paese d’origine», precisa Gallo. Nel 2020 venne ricoverato per otto mesi nell’ospedale Molinette per le conseguenze del suo primo sciopero totale (non assumeva né alimenti, né farmaci né liquidi). Nel nosocomio torinese è tornato poi di nuovo a metà febbraio di quest’anno, «visto l’aggravamento progressivo delle sue condizioni». Attualmente, prosegue la Garante di Torino, «malgrado abbia ripreso ad alimentarsi normalmente, ha però ormai perso quasi del tutto le capacità di deambulazione, e presenta forti instabilità psichiche».

Per questo, come ha riferito il sottosegretario Ostellari rispondendo un paio di giorni fa alla interpellanza della senatrice Anna Rossomando, è attualmente ristretto nell’infermeria del carcere. In quella occasione, il sottosegretario leghista si è limitato però a riferire che il governo italiano si sarebbe attivato sul caso, «trasmettendo una nota interlocutoria all’ufficio competente» albanese e, «in mancanza di riscontro», ha «provveduto ad inviare un nuovo sollecito». E, ha aggiunto Ostellari, del caso si è occupato anche il Provveditore regionale che «ha inviato una lettera al Consolato generale» dell’Albania. Insomma, come ha replicato la senatrice Rossomando, «siamo ancora alle non risposte».

MA IN REALTÀ IL MINISTERO di Giustizia un mese fa aveva avvertito la Garante Gallo che erano stati sospesi i trasferimenti dei detenuti in Albania «per l’insufficiente capienza delle strutture carcerarie albanesi e per altre contingenti ragioni come il tempo di lavorazione e i costi di traduzione in lingua albanese di tutta la documentazione necessaria». Come se si trattasse di eventi accidentali, impossibili da prevedere al tempo dello sbandierato accordo tra i due Guardasigilli. Naturalmente non è così (e infatti Ostellari se n’è guardato bene dal ripeterlo) come dimostra anche l’ultimo rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura sulle carceri albanesi, dopo la visita dell’anno scorso durante la quale il Cpt ha rilevato che «l’Albania continua ad avere uno dei tassi di incarcerazione più alti d’Europa» con «più della metà della popolazione carceraria totale» detenuta in custodia cautelare. Numeri che reggono il confronto (in negativo) con il sovraffollamento del carcere torinese dove a fronte di 1064 posti vi sono rinchiuse 1460 persone. Cinque psichiatri in tutto, nessuno in pianta stabile nell’Articolazione di tutela della salute mentale femminile. Però il sottosegretario Ostellari ha riferito al Senato di aver coinvolto, per il caso del detenuto albanese, il cappellano del carcere. I parlamentari, tranquillizzati, ringraziano.