Il giorno dopo si fanno i conti.

«Guardate che oggi, nonostante sia stata bocciata la proposta di legge in Veneto, non è che non si può fare il suicidio assistito». Tenta di riportare il tema a un livello di ragionevolezza, il governatore leghista Luca Zaia dai microfoni di Radio anch’io. Si riferisce alla sentenza della Corte costituzionale che nel 2019 ha sancito l’esistenza del diritto dei cittadini italiani a interrompere, in determinate condizioni, le sofferenze di fine vita qualora le si ritenesse insopportabili. Un dato di fatto. Ma la tentazione di capitalizzare politicamente la bocciatura, per un soffio (25 sì, 22 no, 3 astenuti e un’assenza), da parte del Consiglio regionale veneto, della legge di iniziativa popolare «Liberi subito» elaborata dall’associazione Coscioni, è forte per tutti i partiti. C’è chi – come il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni o la consigliera Elena Ostanel della lista civica Il Veneto che Vogliamo – punta il dito contro la consigliera dem Anna Maria Bigon che si è astenuta (voto conteggiato con i contrari di Liga Veneta, Fd’I e FI) per un’obiezione di coscienza ampiamente annunciata. E «concordata», spiega lei che ribatte sottolineando invece la «sconfitta di Zaia: 15 voti su 41 disponibili – dice – sono veramente pochi per il presidente della Regione».

Salvini gongola. Li vede già tutti passati dalla sua parte, quei consiglieri delle liste collegate al governatore, suo rivale di partito, che si sono astenuti o hanno votato contro la Pdl 217 (uno di loro non ha partecipato al voto, per abbassare il quorum). E lo hanno annunciato con argomentazioni non sempre banali, che vertevano soprattutto sulle «lacune della legge» e sulla tenuta del testo davanti a ipotetiche future «impugnazioni» da parte della Consulta, per citare ad esempio il consigliere Roberto Bet della lista «Zaia presidente». E invece il vice premier vede la vittoria del “bene sul male”: «La vita va tutelata dall’inizio alla fine – insiste Salvini – Hanno vinto i no. Avrei votato anche io in quel senso lì».

È vero invece che la spaccatura interna alla Lega si estende anche ad altre regioni: in Emilia-Romagna, per esempio, è scoppiato il battibecco almeno tra due consiglieri della stessa lista «Lega Salvini»: all’esultanza di Matteo Montevecchi per la «sonora sconfitta di Zaia», definito «iper-progressista», si è ribellato il suo collega di gruppo Gabriele Delmonte: «Mi dissocio completamente da Montevecchi, nel merito e nel metodo – ha protestato – Il Veneto ha dato un bellissimo esempio di democrazia. La stessa libertà e coraggio che auspico in Regione Emilia-Romagna senza scappatoie burocratiche».

E in effetti il caso Veneto ha rotto in qualche modo un tabù: in molte regioni si riaccende il dibattito e si tirano fuori dai cassetti i vari testi di legge depositati, il più delle volte dimenticati. Questa mattina l’associazione Luca Coscioni depositerà le 8 mila firme raccolte per presentare la stessa Proposta di legge «Liberi subito» anche in Regione Lombardia (dove di firme ne occorrevano solo 5 mila). «Quindi – conferma Marco Cappato – questa battaglia continua». Perché, come afferma la capogruppo Avs alla Camera, Luana Zanella, «qui il vero perdente, oltre alle persone in carne e ossa, è il Parlamento. Alle Camere spetta legiferare sul fine vita e la destra dice no e poi no. Brutale e disumana».