A Gaza non si ferma un genocidio programmato da parte di Israele, risposta agli assassini e alle atrocità compiute da Hamas sui civili israeliani. Noi che assistiamo, al di là della spirale del linguaggio delle istituzioni politiche e dei media occidentali, siamo chiamati a condannare il terrorismo ma non a cercare di comprenderne le cause.

Il terrorismo è stata anche un’etichetta applicata dalle autorità britanniche in Palestina ai futuri capi politici dello Stato ebraico. Il suo significato mutevole, dalle donne che portavano bombe nelle loro ceste nei quartieri europei nella battagli d’Algeri agli assalti e ai massacri perpetuati da Hamas, suggerisce una storia piuttosto che un semplice evento abominevole. I 75 anni trascorsi dalla fondazione dello Stato di Israele hanno visto la costante colonizzazione della Palestina, strappando brutalmente il territorio e le vite dei suoi abitanti autoctoni.

Israele, in quanto sfogo del senso di colpa dei poteri europei, riparazione della Shoah ed esercizio di colonialismo occidentale, solleva questioni molto più profonde di quanto le etichette pronte del terrorismo e della guerra in Medio Oriente siano in grado di accogliere.

La geopolitica che permette a certi poteri di essere esercitati e ad altri di essere emarginati e schiacciati non è solo l’evidenza empirica di poteri asimmetrici; rivela anche il copione e la posizione di coloro che scrivono e definiscono la narrazione. È proprio qui che il sionismo si intreccia con la costituzione coloniale del mondo moderno.

Se Israele non è geograficamente in Occidente, è storicamente, politicamente e culturalmente dell’Occidente. Ciò solleva la questione della necessità per l’Occidente, e non solo per la Germania, di trasformare il senso di colpa per la Shoah nel compito politico e culturale, ben più arduo, di assumersi la responsabilità della formazione genocidiale della modernità: dalle Americhe, dall’Africa, dall’Asia e dall’Oceania all’Olocausto europeo. Questa contro-narrazione, già sperimentata da Hannah Arendt e Aimé Césaire, ci trascina in temporalità e poteri strutturali più profondi. Qui, l’evidenza contemporanea e storica che alcune vite contano più di altre rivela continuamente la disposizione razziale della nostra costituzione coloniale.

Riconoscere questo cuore di tenebra e la nostra responsabilità nel produrre la resistenza alle nostre intenzioni coloniali che ha portato alla risposta brutale e fondamentalista di Hamas non significa giustificarla. Piuttosto, significa iniziare a capire che non sono tanto «loro» quanto noi ad aver prodotto il mondo che testimonia le atrocità perpetuate in Palestina.

I risultati del colonialismo e della modernità occidentale non possono essere semplicemente riportati indietro o annullati, ma possono essere riconfigurati. Altrove, nelle lotte per i diritti degli indigeni in America Latina e in Australia e nell’uscita postcoloniale praticata in Sudafrica, dove si sta smantellando l’ordine razziale di un apparato coloniale di apartheid, la colpa viene rielaborata in responsabilità.

Ciò dimostra che l’attuale modello coloniale occidentale di supremazia bianca non ha necessariamente l’ultima parola.