Mentre si attende il testo definitivo del disegno di legge (ddl) per ratificare il protocollo con Tirana, e dopo che ieri l’opposizione albanese ha presentato due ricorsi alla Corte costituzionale per sospenderlo, in Italia crescono i dubbi sul provvedimento. Di natura giuridica ed economica, come sottolinea Paolo Bonetti, professore di diritto costituzionale alla Bicocca di Milano.

Il costituzionalista Paolo Bonetti

Un Cpr che fa anche da carcere. Ci sono precedenti?

Bisognerà vedere il testo definitivo, ma sembra molto strano. Dalle bozze si capisce che, nel caso di disordini nei centri, l’indagato non sarà trasferito in Italia ma resterà lì, in arresto. Finora in questi casi si passava dal Cpr all’istituto penitenziario. Forse la norma serve a scoraggiare problemi dicendo che comunque si resta in Albania. Ma si tratta di un unicum. La direttiva rimpatri vieta il trattenimento dei richiedenti asilo in luoghi che non siano distinti dalle carceri. Il ddl dice che varranno le norme italiane più che quelle Ue, ma le prime sono attuazione delle seconde. La commissaria Ylva Johansson sostiene che l’intesa sia «fuori» dal diritto Ue, non «contro». Una tesi che rischia di crollare.

In che senso?

In Albania saranno trasferiti solo i migranti soccorsi da navi italiane in acque internazionali. Ma quelle navi sono già territorio nazionale. In base alle norme Ue se qualcuno chiederà asilo a bordo non potrà essere allontanato dall’Italia.

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Quello dei centri invece sarà albanese, con giurisdizione italiana. Potrà essere punito il destinatario di un provvedimento di espulsione per reingresso illegale?

No, ma questa è solo una delle tante ombre del ddl. Un’altra è il trasferimento in Italia solo in «casi eccezionali». Una vera contraddizione: se mi viene riconosciuto l’asilo devo essere portato lì, idem se sono trattenuto a fini espulsivi ma il provvedimento non viene prorogato. L’ipotesi di trasferimento non è eccezionale, lo dice il protocollo.

Altri problemi giuridici?

Primo, una violazione generalizzata del principio di eguaglianza. Tra Italia e Albania ci sarà inevitabilmente un trattamento diverso. Per esempio il colloquio con il difensore avverrà da remoto o le visite dei parenti saranno quasi impossibili. Secondo, la compressione del diritto di difesa. Terzo, il contrasto con l’articolo 31 della Convenzione di Ginevra che vieta differenziazioni in base alla nazionalità. In Albania sembra saranno portati i destinatari di procedure accelerate. In pratica solo i cittadini dei cosiddetti paesi terzi sicuri. Comunque tutto dipende dalla prospettiva. Se pensiamo al singolo migrante ci sono diritti fondamentali da garantire, se guardiamo al quadro generale delle organizzazioni criminali che gestiscono i flussi si può credere di riuscire ad alterarne il «mercato». Per esempio inserendo questa nuova variabile. Se un tunisino si imbarca sapendo che finirà 18 mesi in Albania e da lì sarà rimpatriato, può ritenere che non convenga più.

Il protocollo può funzionare.

Attenzione: ho parlato di tunisini. Di fatto i rimpatri riguardano quasi solo loro (e gli albanesi). Per gli altri hanno bassissima efficacia. Non è chiaro se a livello pratico i migranti saranno differenziati sulle navi in base alle nazionalità dichiarate per decidere dove farli sbarcare. Il sistema sembra davvero raffazzonato.

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Chi guadagnerà dall’accordo?

L’Albania. Per i soldi ricevuti subito, per quelli che verranno dopo, per il vantaggio di immagine. Ma prima dei guadagni andrei a vedere le perdite: questa legge ha un problema di copertura finanziaria. Ci sono ancora troppe voci non specificate. L’esame parlamentare sarà interessante. Il testo dovrà passare dagli uffici di bilancio delle due camere, indipendenti dal governo. Non è mica sicuro vada in porto.

Per quali ragioni?

Il parlamento non può emendare il protocollo, può solo approvarlo o respingerlo. Ma sulle norme di esecuzione interna può dire la sua. L’esame sarà molto più lungo e complicato di quanto annunciato. Non credo che il parlamento abbia mai respinto un ddl di autorizzazione alla ratifica, ma molte volte l’ha ritardato o accantonato. È capitato di rendersi conto che il progetto aveva più costi che benefici. Non si può escludere avvenga anche in questo caso. L’Italia è il secondo paese più indebitato dell’Ue. Fare altri debiti per operazioni che in Italia costerebbero molto meno è uno spreco organizzato di denaro pubblico.