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Il corpo fragile dell’immagine

Il corpo fragile dell’immagine

Venezia 73 «Dawson City: Frozen Time» è il film di Bill Morrison che verrà presentato nella sezione Orizzonti, composto da parti di pellicole e newsreel realizzati tra il 1903 e il 1929, quasi perfettamente conservati nel ghiaccio dello Yukon dove sono stati ritrovati

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 31 agosto 2016

A Dawson City, Canada del Nord, dalle acque dello Yukon River nasce il Klondike, il fiume reso celebre – come la stessa piccola cittadina – dalla corsa all’oro di fine Ottocento che ha portato nella regione dello Yukon oltre 100 mila cercatori di fortuna. Ed è a Dawson City che il regista e artista Bill Morrison si è diretto per realizzare il suo ultimo film – Dawson City: Frozen Time – che verrà presentato nella selezione di Orizzonti di Venezia 73 il 5 settembre. Un film non girato, ma pazientemente composto da parti di altre centinaia di film e newsreel realizzati tra il 1903 e il 1929, quasi perfettamente conservati dal terreno ghiacciato dello Yukon, sotto il quale sono stati trovati durante i lavori per costruire il parcheggio di un centro ricreativo.

«A Dawson City arrivavano i film ma poi era troppo dispendioso rispedirli indietro e così venivano semplicemente accumulati» racconta Bill Morrison al conduttore del programma sportivo High Heat, interessato alla presenza, tra le pellicole, di notiziari che documentavano il campionato di baseball del 1919. «Nel 1928 – continua Morrison – questa collezione venne sepolta in una piscina, e presto tutti se la sono dimenticata». Il ritrovamento di ben 500 film risale al 1978: le pellicole sono state restaurate e conservate con cura all’archivio di Ottawa per poi «sparire» per altri 35 anni, osserva Morrison che è stato il primo a chiedere accesso a questo patrimonio ritrovato per realizzare il suo lungometraggio

Il lavoro di Bill Morrison, nato a Chicago nel 1965, si svolge infatti per buona parte negli archivi dove visiona e seleziona i frammenti di antiche pellicole dell’era del muto che andranno a far parte delle sue «composizioni visive», in cui i segni della decomposizione delle pellicole in nitrato – il materiale altamente infiammabile con cui all’epoca i film erano realizzati – hanno la medesima importanza, se non superiore, della traccia dell’immagine impressa sulla pellicola. «Le immagini possono essere considerate come dei pensieri o delle memorie: azioni che hanno luogo nella nostra mente – aveva scritto Morrison sul catalogo della retrospettiva a lui dedicata dal Film Festival di Cork nel 2006 – la pellicola può essere invece considerata come il corpo, che rende possibile la visione di questi eventi. Come i nostri corpi, la celluloide è un supporto fragile ed effimero, che può deteriorarsi in una miriade di modi».

La sua sinfonia visiva del 2002, Decasia, è tra i lavori più importanti e noti di questo artista – a cui il Moma di New York ha dedicato una retrospettiva integrale due anni fa – in cui la circolarità, la rotazione, è la rima visiva che accomuna le immagini del found footage da lui assemblato: le bobine che girano sul proiettore, il derviscio che apre e chiude il film, il disco del sole che tramonta all’orizzonte tracciano un percorso circolare che evoca una destinazione obbligata, quella appunto del declino del corpo e della vita. Un decadimento che può però anche essere abbagliante, come le menomazioni meravigliose inflitte dal tempo sulla celluloide. Decasia, il cui titolo rimanda volutamente a Fantasia di Walt Disney, è una sinfonia visiva anche perché il lavoro di Morrison si svolge a stretto contatto con i compositori che sonorizzano i suoi film – che non a caso lui considera piuttosto delle performance nate dall’incontro di immagini e musica: in Decasia e molti altri lunghi e cortometraggi è Michael Gordon, che lavora sulla campionatura dei suoni e delle musiche così come Morrison su quella delle pellicole. Ma ci sono molti altri nomi importanti, come Philip Glass o Bill Frisell, con il quale nel 2014 Morrison ha vinto lo Smithsonian Ingenuity Award per The Great Flood, dove con i consueti filmati d’epoca ricostruisce l’ esondazione del Mississippi del 1927, la più grande della storia statunitense, che lasciò senza casa oltre 200 mila abitanti degli Stati sul delta del Mississippi e contribuì notevolmente alla grande migrazione degli afroamericani verso il Nord e il Midwest.

Bill Frisell è anche l’autore delle musiche di The Mesmerist, corto del 2003 in cui per la prima volta, racconta Morrison in un’intervista, «non ho solo preso in prestito delle immagini, ma anche degli snodi della trama». The Mesmerist è infatti interamente tratto da un film del 1926 di James Young, The Bells, con Lionel Barrymore e Boris Karloff, di cui però il regista di Decasia stravolge la storia: «È un film molto strano in cui il protagonista commette un omicidio a sangue freddo e così facendo risolve tutti i suoi problemi. Ho voluto reinventare la trama per fare in modo che non la passasse liscia».

Nel farlo, Morrison non impiega le bobine perfettamente conservate della Library of Congress, ma si fa consegnare tre rulli che si erano deteriorati, così ancora una volta al contenuto narrativo delle immagini si somma l’imprevedibile e fantasmatico disfacimento del loro supporto.

In Dawson City: Frozen Time, Bill Morrison – con le musiche scritte da Alex Somers – ricostruisce invece la storia della cittadina del Canada protagonista del sogno collettivo della corsa all’oro, insieme al ciclo vitale delle pellicole ritrovate che compongono il suo lavoro. «Oro e Argento – scrive il regista nel suo commento – che sono legati e si susseguono l’un l’altro per sempre, guidano la narrazione in un capitolo unico della civiltà umana».

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