Visioni

Il corpo fisico e immaginario fra inconscio e rivoluzione

Il corpo fisico e immaginario fra inconscio e rivoluzioneAlfonso Cuaron con il Leone d’oro – La Presse

Venezia 75 Un percorso fra i temi e i film del Festival, spesso ambientati nel passato

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 9 settembre 2018

Cosa rimane tra le visioni della Mostra numero 75, quali le questioni che l’immaginario nelle sue diverse, talvolta opposte declinazione suggerisce tra i fotogrammi, le storie, nel fuoricampo? Il nostro tempo, le sue dissonanze e conflitti, sono al centro di film, anche quando la scelta è ricorrere al passato, insieme al desiderio di interrogare la propria materia, il cinema, di cercare una forma politica con cui dare immagine ai sentimenti del contemporaneo. Una possibile cartografia.

CORPO. È stato il grande protagonista di molti film della Mostra in concorso (e non solo pensiamo a I ricordi del corpo di Nugroho), corpo fantasticato, luogo di resistenza, spazio di un conflitto e di un cambiamento. Corpo performativo come invenzione del mondo e riflesso dei suoi lati oscuri, della Storia messa a tacere, non raccontata. Nell’era del digitale e dei social network del rancore, dell’immateriale che nega il futuro, e fraintende la parola con l’insulto, il corpo appare nell’immaginario come un potente materiale resistente.

È un corpo dell’inconscio che danza in Suspiria di Liuca Guadagnino, il mistero delle streghe, la razionalità della psicanalisi, l’opposizione tra l’importanza di ricordare e la rimozione. La decostruzione dei generi e del classico di Argento avviene nella regia di Guadagnino attraverso i passi di una danza che costringe il corpo a un diverso movimento: interno/esterno, cuore/cervello, corpo totalizzante. Il corpo è rivoluzionario nel film di Martone, Capri-Revolution comincia dalla presa di consapevolezza del corpo della sua protagonista, la giovane pastora Lucia, che spogliandosi dei suoi vestiti nella natura aspra dell’isola inizia il suo processo di conquista di sé, irrequieta sperimentatrice nella comune che fonda la sua liberazione dalle regole culturali e sociali del tempo sul corpo. Nudo, maschile, femminile, danzante. La lezione è quella dei movimenti di inizio secolo, la perfomance che arriva fino agli anni Settanta, strumento di lotta e di reinvenzione della realtà.

Il corpo sbudellato, tagliato a pezzi, fragile carne contro la lama della spada è protagonista anche per Tsukamoto (Killing) che vi ha fondato il suo cinema. Tetsuo era il cyborg evidenza di una società nel Sol levante schiacciata dalla corsa forsennata dell’esplosione economica e dal controllo del rito sociale, qui il samurai che non vuole uccidere ed è maestro nell’arte della guerra solo se virtuale ne mostra – sul corpo ferito – l’evidenza, si fa opposizione alla brama neomilitarista del Paese.

Il corpo della rock star, voce collettiva d’America, è quello su cui inscrive il nostro presente Brady Corbet nel suo magnifico Vox Lux, acuta riflessione sulla spettacolarizzazione (attualissima) dell’orrore. La ragazzina che diventa famosa con una canzone scritta (dalla sorella) dopo il massacro a scuola, e fa canzoni pop perché aiutano a non pensare. La colonna sonora però è di Scott Walker e la violenza dello star system quella della nostra epoca. Da Leone.

COSTUME. Su venti film nel concorso della Mostra quattordici sono in costume. Più che una nostalgia, il ritorno al passato appare quasi come lo specchio su cui proiettare il presente cercando nell’astrazione temporale una forza di universalità. Il paesaggio stralunato di feroce tristezza dei Coen dove il western è già finito, forse souvenir di una qualche visita guidata, i cui eroismi sono quelli che servono i Bannon (vedi American Dharma di Morris) per trasformarli in nuove bugie al presente. È il futuro che non esiste, il primo uomo che ha messo piede sulla luna ha trovato un deserto di sassi, il First Man di Chazelle è un Neil Armstrong lontano dal suo mito, quella passeggiata che prometteva viaggi spaziali è solo un ricordo lontano.

Il passato è autobiografia (Roma di Cuaron), bianco e nero di una società vista dalla soffitta, dove vive la domestica giovanissima di origine mexteca, dentro la casa borghese ma separata, al cui sguardo il regista messicano sovrappone il proprio di ragazzino sballottato dagli eventi familiari (il divorzio dei genitori) mentre fuori dal cortile pieno di cacca di cane il Messico esplode e il sottoproletariato come quella della sua amata Cleo che lo cresce, si fa assoldare dal potere per massacrare gli studenti (1971, massacro del Corpus Christi).

VIRTUALE/REALE. Meglio l’e-book o il libro di carta? Nelle conversazioni che punteggiano il film di Assayas, (Doubles vies) insieme a tradimenti e sfinimenti di coppia, riecheggiano le «polemiche» su Netflix, produttore di molti film – e anche del compimento dell’invisibile Orson Welles, The Other Side of the Wind– e sul rapporto tra sala e colossi dello streaming, tra chi li considera una sorta di no-future del cinema e chi invece come un sostegno necessario almeno per ora.

KILLER. Le parole di Bannon che nel documentario di Morris evoca un’apocalittica rivoluzione si rispecchiano in quelle dello stragista norvegese di estrema destra Anders Breivik (July di Greengrass), che sembra rispondere alla chiamata alle armi – ex post – proprio dell’ex stratega di Trump. La sua diagnosi è schizofrenia paranoide – ma il suo gesto è tristemente sintonizzato con lo spirito del tempo ed evoca anche un altro massacro, quello compiuto dalla Manson Family e raccontato in Charlie Says (Orizzonti) di Mary Harron: anche l’apocalittico Helter Skelter immaginato da un altro schizofrenico paranoide – Charles Manson – è una guerra civile che ruota intorno all’odio e al risentimento dell’uomo bianco.

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