La Società Italiana delle Storiche segue con ammirazione e pari preoccupazione i recenti avvenimenti in Iran. Ammirazione per il coraggio delle donne, di ogni età, che sfidano in prima linea un regime che non esita a rispondere con brutalità. Preoccupazione per la violenta repressione in atto. La cruenta uccisione della ventiduenne Mahsa (Zhina) Amini, curdo-iraniana, da parte della polizia morale (Gasht-e Ershad, la pattuglia della morte), lo scorso 16 settembre perché non rispettava il severo codice di abbigliamento della Repubblica islamica, ha reso particolarmente visibile, a livello internazionale, l’oppressione delle donne nel sistema patriarcale iraniano.

Se la Repubblica islamica viola sistematicamente i diritti umani, nel caso delle donne il sistema giuridico concede loro un valore che è della metà rispetto a quello di un uomo nella testimonianza in tribunale, nel risarcimento in caso di ferimento e morte violenta, nell’eredità. Al tempo stesso, per le iraniane è difficile ottenere il divorzio e ancor più la custodia dei figli minori. E sono discriminate nell’accesso ad alcune facoltà universitarie a causa delle “quote azzurre” che garantiscono maggiori opportunità ai loro coetanei di sesso maschile.

L’uccisione di Mahsa Amini ha scatenato proteste dapprima nella provincia del Kurdistan iraniano e poi in 80 località sparse nel paese. Scandendo lo slogan ‘donne, vita, libertà’ (zan, zendeghi, azadi), molte donne hanno sfilato senza indossare il velo, occupando lo spazio pubblico per rivendicare la libertà di scelta. Si tratta delle manifestazioni più importanti dalla rivoluzione del 1979, ben più rilevanti di quelle del 2009 e del 2019, perché questa volta partono dalla provincia per estendersi in tutto l’Iran; inoltre, questa volta le istanze di libertà della borghesia si uniscono alle rimostranze economiche dei ceti popolari.

La morte di Mahsa Amini è diventata la miccia per denunciare un regime che viola costantemente i diritti umani, la libertà di espressione, i diritti delle donne, dei soggetti lgbtqi+, delle minoranze etnico e religiose, ma anche di una leadership incapace di gestire la cosa pubblica.
Dopo un momento iniziale in cui alcuni deputati hanno proposto la revisione e persino l’abolizione della polizia morale, la macchina repressiva si è messa in moto: sono 1200 le persone arrestate, 76 i morti tra i dimostranti, Internet è stato rallentato, Instagram e Whatsapp hanno smesso di funzionare. Malgrado la ferocia della repressione, le proteste non sembrano diminuire di intensità e, con un effetto domino, stanno coinvolgendo anche diverse capitali europee.

La Società Italiana delle Storiche dichiara piena solidarietà a tutte e tutti coloro che, nonostante la dura repressione di questi giorni, continuano a chiedere, in Iran, il rispetto delle libertà fondamentali, l’uguaglianza, la giustizia sociale e la fine di un sistema patriarcale oppressivo. In particolare, la SIS è solidale con le donne e gli uomini che non hanno esitato a sollevarsi unite contro la morte di Mahsa Amini. La capacità di resistenza delle donne è emersa in più occasioni nella storia del paese e la tenacia dimostrata ora testimonia una consapevolezza e una strenua volontà di cambiamento che oggi bisogna sostenere a livello internazionale, seguendo le indicazioni che arrivano dalle piazze iraniane e da quelle che si stanno costruendo in tutto il mondo sotto la guida delle comunità in diaspora.