Il contingente francese cacciato (anche) dal Niger
Dopo Mali e Burkina Faso, la fine di un’epoca Parigi infine cede alla richiesta della giunta militare che ha preso il potere a Niamey. Annunciato da Macron anche il ritorno dell’ambasciatore Itté, rimasto isolato e a corto di viveri nella capitale nigerina
Dopo Mali e Burkina Faso, la fine di un’epoca Parigi infine cede alla richiesta della giunta militare che ha preso il potere a Niamey. Annunciato da Macron anche il ritorno dell’ambasciatore Itté, rimasto isolato e a corto di viveri nella capitale nigerina
La Francia, già cacciata da Mali e Burkina Faso, si prepara a lasciare il Niger, suo ultimo alleato nel Sahel. Dopo un decennio di intervento militare antijihadista nella regione (Operazioni Serval e Barkhane) è un voltare pagina definitivo, maturato al termine di un braccio di ferro diplomatico con il governo militare guidato dal generale nigerino Abdourahmane Tiani. Il presidente Emmanuel Macron ha infine ceduto alle richieste di Niamey, annunciando domenica «il ritorno a Parigi dell’ambasciatore Sylvain Itté e il ritiro del contingente francese (1500 militari, ndr) entro la fine dell’anno».
UN RITORNO «alla ragionevolezza», secondo la giunta militare nigerina, scelta forse legata anche alla difficile situazione di Itté, rinchiuso nell’ambasciata senza immunità diplomatica, con le riserve di cibo e acqua quasi esaurite. Contesto altrettanto complesso per i militari francesi che da agosto sonoi senza missione, a causa della «sospensione degli accordi di collaborazione» richiesta dalla giunta militare. Droni, elicotteri e aerei da combattimento sono fermi a terra.
Questo ennesimo ritiro forzato arriva dopo quello dal Mali, nell’agosto 2022, e dal Burkina Faso nel febbraio 2023. In tutti e tre i casi, Parigi è stata estromessa da giunte militari salite al potere dopo colpi di stato appoggiati da parte della popolazione, che considerava i governi in carica «corrotti e assoggettati alle posizioni della Francia». Il «sentimento antifrancese» nel caso del Mali si è trasformato in una cooperazione militare con Mosca e con i paramilitari della Wagner.
CADE COSÌ quello che fino al 26 luglio scorso, giorno della destituzione del presidente Mohamed Bazoum, era per Parigi il «tassello centrale» nel sistema di «intervento e cooperazione militare nel Sahel», come indicato da Macron. Fin dalla sua prima elezione, il presidente francese ha tentato un cambio di rotta in Africa, già presente nel discorso di Ouagadougou del 2017 poi ribadito nel febbraio 2023, delineando un approccio «meno militare, centrato sui rapporti con la società civile». Tentativo mai percepito dalle popolazioni del Sahel, che hanno visto Parigi «coltivare i propri interessi economici, sfruttare le risorse locali, sostenere governi corrotti e inadeguati», senza vedere miglioramenti nella lotta ai gruppi jihadisti presenti nell’area.
Una Francia criticata anche per le sue incoerenze: da un lato ha duramente contestato la legittimità della giunta militare in Niger, dall’altra ha bene accolto la presidenza di Mahamat Idriss Déby Itno, salito al potere in Ciad dopo la morte del padre senza un reale processo democratico.
Parigi è ormai isolata anche nel sostegno a un possibile intervento militare della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao) in Niger, visto che i suoi alleati – Stati Uniti in primis – hanno progressivamente consigliato la via della mediazione.
E SE LA CEDEAO RESTA FERMA sulla sua linea – immediato ripristino dell’ordine costituzionale o intervento armato – due paesi confinanti con il Niger hanno da poco aperto a una possibile «soluzione diplomatica». Il presidente nigeriano Bola Tinubu ha citato come esempio «la transizione di nove mesi attuata nel suo paese nel 1999», non vedendo «nessuna ragione per cui ciò non possa ripetersi in Niger». Mentre a inizio mese l’Algeria, impegnata in una mediazione tra la Cedeao ed il regime golpista, ha indicato il proprio piano di «transizione di sei mesi, sotto la supervisione di un’autorità civile».
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