I giudici scendono in campo a favore del clima e mettono i governi con le spalle al muro. L’ultima decisione è avvenuta in Francia: il Consiglio di stato, in risposta a un ricorso avanzato dalla città di Grande-Synthe (situata sulla Manica) a cui si erano uniti i comuni di Parigi e Grenoble e il movimento L’Affaire du siècle, ha chiesto formalmente ieri al governo di “giustificare” che la traiettoria di riduzione di Co2 entro il 2030 rispetta gli impegni presi con la firma dell’Accordo di Parigi. Il Consiglio di stato dà tre mesi al governo per spiegarsi. In primavera-estate ci sarà un’udienza al Tribunale amministrativo di Parigi, con lo stato e il governo in carica sul banco degli accusati.

Per le ong è una «decisione storica», perché dalle parole si passa ora all’obbligo di risultati. Una sentenza analoga aveva già avuto luogo nel dicembre 2019 in Olanda, dove in seguito a una denuncia dell’associazione ecologista Urgenda i giudici avevano costretto il governo a mantenere gli impegni di riduzione di Co2. Nell’agosto di quest’anno, in Irlanda la Corte suprema ha annullato il piano governativo di lotta contro il riscaldamento climatico perché non abbastanza dettagliato. A febbraio, la giustizia ha bloccato l’estensione dell’aeroporto di Heathrow a Londra perché non teneva conto degli impegni a favore del clima firmati dal governo britannico.

La decisione del Consiglio di stato francese arriva dopo una serie di segnali d’allarme: l’Alto consiglio per il clima, nel rapporto annuale reso pubblico lo scorso luglio, aveva allertato che la Francia non era sulla buona strada per rispettare gli impegni di riduzione di Co2, il ritmo è stato -0,9% nel 2018 e 2019, mentre avrebbe dovuto essere almeno -1,5%, poi salire a -3,2% nel 2025 per arrivare alla promessa neutralità carbone nel 2050. Oggi ogni francese continua a produrre più di 11 tonnellate di Co2 l’anno, mentre dovrebbe scendere a 2 nel 2050. Anche la Commissione europea è inquieta. Il governo però, dopo aver promesso di mettere in atto 149 proposte della Commissione cittadina per il clima, il 21 aprile scorso, in piena pandemia di Covid, ha rimandato l’attuazione delle misure previste a dopo il 2020. Con la pandemia, in effetti, la produzione di Co2 è diminuita, purtroppo solo a causa del rallentamento forzato dell’economia.

Il governo francese, comunque, continua a sottolineare che la situazione del paese è meno degradata che in altri stati, grazie alla parte del nucleare nel mix energetico (trascurando di prendere in considerazione i rischi causati dalle centrali). Inoltre, il ricordo della rivolta dei gilet gialli, esplosa contro la carbon tax sui carburanti, contribuisce a frenare ogni iniziativa.

Il Consiglio di stato afferma nella sua sentenza che l’obiettivo di contenere il riscaldamento climatico sotto i 2° – come sancito dall’Accordo di Parigi – deve essere preso in considerazione quando si prendono decisioni. Ma il Consiglio di stato non si pronuncia sull’obbligo di imporre la priorità climatica su tutti gli altri interessi, come avrebbero voluto i comuni che hanno fatto ricorso.

Dare la priorità agli interessi climatici su tutti gli altri interessi è invece la richiesta di un appello sottoscritto da un migliaio di scienziati (pubblicato ieri da Le Monde): «Di fronte alla crisi ecologica, la ribellione è necessaria». Per questi scienziati, «l’inerzia non può più essere tollerata» di fronte al dramma che minaccia la vita sulla terra. L’appello invita i cittadini a unirsi alle ong ambientaliste, da Greenpeace a Extinction Rebellion, e partecipare ad azioni di disobbedienza civile.