Non ci sarà un referendum sulla riforma delle pensioni. Il Consiglio Costituzionale ha bocciato ieri la seconda richiesta di Rip, per «proibire l’età legale al di là dei 62 anni», presentata da 253 parlamentari della sinistra, dopo il giudizio negativo già espresso a un primo tentativo a metà aprile, lo stesso giorno in cui era stata invece giudicata costituzionale la riforma che porta a 64 anni l’età pensionabile. Un cacerolazo ha atteso la sentenza, ieri di fronte alla sede del Consiglio Costituzionale.

La Prefettura preventivamente aveva proibito le manifestazioni nelle vicinanze del Palais Royal fino alle 2 del mattino. C’è delusione, ma il giudizio negativo era atteso, perché il testo della richiesta era simile a quello già respinto (con un’aggiunta sul finanziamento del sistema pensionistico). La sentenza conferma il forte sospetto che il Rip sia stato pensato per non essere mai applicato: per convocare un referendum di iniziativa condivisa, oltre a più di 200 parlamentari, sono necessarie 4,8 milioni di firme (il 10% del corpo elettorale) raccolte in nove mesi e il voto può essere impedito se nei sei mesi successivi il parlamento discute la legge.

Il giudizio dei saggi non ferma però la protesta: il 6 giugno ci sarà una nuova giornata di manifestazioni, la quattordicesima, in attesa del voto, l’8 giugno, della proposta di abrogazione del testo di legge presentata dal gruppo Liot (deputati dell’oltremare). Sarà il primo voto all’Assemblée nationale sulla riforma – passata con il ricorso al 49.3, la sfiducia rovesciata – che ha possibilità di successo, perché il gruppo Liot non è direttamente connotato ideologicamente, e quindi potrebbe raccogliere i voti di tutti i dissidenti (anche una minoranza di repubblicani ed estrema destra).

La sinistra del Senato ha fatto appello ieri sera a Emmanuel Macron per organizzare una “concertazione” sulle pensioni. L’opinione pubblica resta ampiamente contraria, i cortei continuano a essere potenti e governo e presidente crollano nei sondaggi. La prima ministra, Elisabeth Borne, dovrebbe invitare i sindacati a Matignon «nei prossimi giorni»: questa mossa potrebbe segnare un’incrinatura nel fronte unito sindacale, poiché i riformisti, a cominciare dalla Cfdt, sono disponibili, mentre la Cgt resta molto reticente.

Intanto, la polemica continua sulla violenza della polizia. La controllora dei luoghi di privazione di libertà, l’ex giornalista di Libération Dominique Simmonot, ha presentato un rapporto che condanna i fermi preventivi prima delle manifestazioni. Il portavoce del governo, Olivier Véran, parla dei metodi di repressione: «riflette» come «adattarsi ai nuovi metodi dei casseurs», per «fare in modo che chi è lì per spaccare, uccidere, sia messo nell’impossibilità di nuocere». Per Véran il governo ha un «doppio obbligo»: «Garantire la sicurezza delle manifestazioni» e «mettere fuori gioco i violenti».

Macron e Borne ieri hanno accusato Jean-Luc Mélenchon di «fare il gioco dell’estrema destra» attraverso incitazioni all’insurrezione. La Nupes, l’alleanza di sinistra, festeggia un anno di vita. Ci sono difficoltà, il Pcf prende le distanze, il Ps è spaccato, i Verdi confermano che correranno da soli alle europee tra un anno. Anche nella France Insoumise alcuni stanno prendendo le distanze da Mélenchon.