Sant’Elia. Qui all’inizio c’erano soltanto paludi, sull’orlo del mare, di fronte all’enorme spazio azzurro d’acqua e di cielo del Golfo degli Angeli. Era la zona più a sud della città, poche case, un intrico di viuzze attorno al campanile della chiesa. Un borgo abitato da pescatori. Da loro lavoro veniva il pesce che finiva nel vecchio mercato di San Benedetto. Prima ancora del borgo, nel Seicento che a Cagliari fu spagnolo, qui avevano messo, per decreto vice regio, il Lazzaretto, il luogo per la cura dei lebbrosi, degli intoccabili. Restò tutto più o meno così (a parte il Lazzaretto,da fine Ottocento abbandonato e cadente) sino ai primi anni Settanta del secolo scorso.
Dopo la ferita dei bombardamenti del 1943, che avevano raso al suolo buona parte del cento storico, Cagliari negli anni del boom economico (i Cinquanta e poi per tutti i Sessanta), era cresciuta. Sede dell’amministrazione regionale, centro politico ma anche economico dell’isola. Un’imprenditoria quasi tutta legata ai traffici commerciali con la penisola, comprare e rivendere, rivendere e comprare. Poca industria vera, sino all’arrivo dei Moratti con la loro raffineria a Sarroch, sul finire degli anni Sessanta. Ma anche, in una città in tumultuoso sviluppo urbanistico,speculatori edilizi e palazzinari. Nei primi anni Settanta a Sant’Elia accaddero due cose che cambiarono per sempre il volto del quartiere: la decisione di trasformare la ex zona paludosa bonificata in un’area di edilizia popolare e quella di costruire al limite est il nuovo stadio del Cagliari Calcio.
Decisioni prese da un’amministrazione comunale di segno moderato, dominata dalle correnti democristiane più conservatrici. Alle quali, però, nessuno si oppose. Cagliari cresceva in popolazione a ritmi esponenziali, la fame di case era grande. E poi la squadra di football era quella dello scudetto, la squadra di Gigi Riva “Rombo di tuono”: si poteva negare all’undici guidato da Manlio Scopigno, che aveva regalato a una città mezzo nobile d’antico lignaggio iberico e mezzo stracciona un sogno che sembrava impossibile? No. E così, sotto la piccola collina dove continuavano a stare i pescatori, nell’avvallamento dove prima era soltanto acqua stagnante e saline, sorsero enormi orrendi palazzoni dove mettere quelli che cercavano casa e non potevano permettersi i prezzi di mercato. E insieme ai casermoni, lo stadio nuovo. Due simboli del benessere conquistato, una carta di credito per l’ingresso nel palcoscenico sul quale si costruiva una miserevole identità nazionale.