Contrariamente a quanto esplicitamente richiesto da alcuni componenti – in particolare l’oncologo Silvio Garattini – il Comitato nazionale di Bioetica (Cnb) ha deciso con perfetto tempismo di rispondere al quesito del Comitato etico territoriale della Regione Umbria (posto otto mesi fa, il 3 novembre scorso) proprio poco prima dell’imminente nuovo pronunciamento della Corte costituzionale riguardo l’accesso al suicidio medicalmente assistito. Si parla della dipendenza del malato terminale da «Trattamenti di sostegno vitale» (Tsv), uno dei requisiti stabiliti nella storica sentenza Cappato/Dj Fabo del 2019. Ma il fatto che sul sito del Cnb sia stato pubblicato il parere di maggioranza (molto restrittivo del concetto e che tra l’altro esclude il punto di vista del paziente) come risposta ufficiale, citando a malapena la posizione di minoranza (parere opposto firmato da quattro componenti), anziché un testo unico ma articolato, come è sempre stato finora, ha creato molti malumori.

Nell’attuale Cnb, attacca Lorenzo D’Avack che di quell’istituto è stato anche presidente, «non c’è alcun pluralismo ed anche la possibilità di esprimere un’opinione di minoranza, come nel caso del parere sui Trattamenti di sostegno vitale, rappresenta un’eccezione faticosa». Se infatti la maggioranza ha voluto forzare la mano con una interpretazione giuridica, sperando così di orientare la Consulta, la minoranza ha ripreso invece il parere già espresso dallo stesso Cnb nel 2019 quando il comitato, organo della Presidenza del consiglio dei ministri, considerava i Tsv «una condizione aggiuntiva solo eventuale; ritenerla necessaria, infatti – scriveva – creerebbe una discriminazione irragionevole e incostituzionale fra quanti sono mantenuti in vita artificialmente e quanti, pur affetti da patologia anche gravissima e con forti sofferenze, non lo sono o non lo sono ancora. Si imporrebbe, inoltre a questi ultimi di accettare un trattamento anche molto invasivo, come nutrizione e idratazione artificiali o ventilazione meccanica, al solo scopo di poter richiedere l’assistenza al suicidio, prospettando in questo modo un trattamento sanitario obbligatorio senza alcun motivo ragionevole».

Su questa stessa posizione è schierata anche l’Associazione Coscioni che è parte in causa dei processi sui quali i tribunali hanno chiesto l’intervento della Consulta. «Tutto torna, perché lo stesso governo, che ha nominato il Cnb, si è costituito in giudizio in Corte costituzionale per difendere una interpretazione restrittiva del criterio della “dipendenza da Tsv”», fa notare Marco Cappato che, nel caso in cui si accettasse quella interpretazione, rischia una condanna da 5 a 12 anni di carcere per l’aiuto al suicidio fornito, insieme ad altri volontari, a diversi malati terminali.

Ma al di là del merito c’è il metodo: «Se il Cnb sceglie di scendere nell’agone politico, rischia di perdere autonomia e quindi anche autorevolezza», avverte Grazia Zuffa che ha firmato il documento di minoranza. «Prima il caso Cospito, poi il farmaco per la disforia di genere: c’è una pressione continua per far sì che il Cnb si schieri politicamente, accentuando la dicotomia maggioranza/minoranza. In questo modo si snatura il compito stesso del Cnb, che dovrebbe essere quello di emettere liberi pareri (e rare risposte) illustrando gli elementi bioetici in campo. Mentre non rientra nelle nostre competenze invadere il campo giuridico».

E infatti, come spiega lo stesso presidente Angelo Vescovi, il Cnb sta approntando più di dieci pareri su altrettanti temi particolarmente cari alla maggioranza di governo: disforia di genere, maternità surrogata, cure compassionevoli e molto altro. A breve, afferma Vescovi, «dovrebbe arrivare il parere sulla triptorelina, farmaco utilizzato nelle terapia per la disforia di genere». Poi sarà la volta della gestazione per altri e così via. Mutando in questo modo, poco a poco, senza grandi colpi di mano, le politiche italiane sui diritti civili e umani.