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Il codice penale come lente per guardare il mondo

Scontri tra manifestanti e la polizia a Milano foto LaPresseScontri tra manifestanti e la polizia a Milano – foto LaPresse

Ancora un pacchetto sicurezza, altro carcere per gli ultimi buono solo a gonfiare ulteriormente le galere. Ma dov’è la cultura politica alternativa al pugno duro delle destre?

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 17 novembre 2023

Con l’ennesimo pacchetto sicurezza, la maggioranza vuole conservare il vento elettorale attraverso i mantici del diritto penale e del carcere. Vecchie logiche e nuovi delitti, sommati alla dilatazione di reati già esistenti e a limitazioni delle alternative al carcere nei confronti delle donne.

Cominciamo da qui. Le norme proposte – stavolta almeno con disegno di legge – mirano a far espiare la pena in carcere alle donne incinte e a quelle con figli di età inferiore ad un anno. Eliminato il rinvio obbligatorio della pena nei confronti di quelle detenute, che diventa così differimento facoltativo disposto dai giudici e subordinato all’insussistenza di una situazione di pericolo di recidiva. Il mirino è chiaramente sulle “borseggiatrici rom”: d’ora in poi, per loro si aprono le celle; chi ne incontrasse una fuori, sappia che la colpa è dei giudici, troppo sensibili al richiamo del benessere del minore (poco importa che questo sia un principio cardine del nostro ordinamento e un baluardo delle convenzioni internazionali).

Unico elemento di mitigazione per le tante Adelina che tengono ’a panza (indelebile pittura di Vittorio De Sica per Sofia Loren) è quella di poter espiare la pena negli istituti a custodia attenuata per detenute madri. Istituti privi di sbarre e nei quali gli agenti non indossano divisa, ma pur sempre di luoghi di detenzione, collocati in zone disagiate, non idonee a favorire relazioni stabili con la famiglia all’esterno. Una norma del genere metterebbe fine ai tentativi del parlamento – sempre più ostaggio della maggioranza – di costruire, attraverso l’istituzione di case famiglia sicure e accoglienti, una risposta umana e civile al problema del bilanciamento tra esigenze di difesa sociale e i contrapposti diritti alla maternità, alla tutela della relazione educativa e al benessere del minore.

Non solo, questa come le altre misure che si risolvono nella sostanza – per passare da De Sica a Sordi – in un «Tutti dentro» rivolto ai poveracci, non fanno i conti con i numeri delle nostre carceri. Che continuano a crescere in maniera smisurata: siamo di nuovo a 60mila detenuti. Un carcere sovraffollato tradisce i diritti dei detenuti e restituisce alla società soltanto odio. Anche in questo pacchetto sicurezza si vedono bene i tratti di una legislazione solo repressiva: reati di pericolo astratto, anticipazione dell’incriminazione ben oltre la soglia del tentativo di reato, tutela penale di beni simbolici. Bastano pochi esempi.

Con il nuovo articolo 270-quinquies 3 del codice penale sarà punito con la reclusione da due a sei anni chiunque, consapevolmente e con finalità di terrorismo, si procura o detiene materiale contenente istruzioni sulla preparazione di armi ed esplosivi. Due sono le cose: o si tratterà di reato “acchiappa-tutti” – basta cercare su Internet per trovare video e manuali di pirotecnica e di tecnologia degli esplosivi – o sarà l’ennesima norma simbolica, basata su una selezione dei fatti punibili orientata dall’interpretazione discrezionale dei propositi del presunto colpevole.
Su altro versante, ogni reato commesso nei confronti di forze di polizia subisce un inasprimento delle sanzioni: violenza e resistenza a pubblico ufficiale (più un terzo di pena se commesso ai danni di un agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza); deturpamento o imbrattamento di cose altrui (fino a un anno se si scrive sul muro di una caserma, addirittura tre per i recidivi); lesioni personali a pubblico ufficiale per le quali la pena massima viene di colpo raddoppiata. È la peculiarità del bene offeso, il prestigio della divisa, e non la gravità dell’offesa a sancire l’aumento dell’entità della pena. Contemporaneamente, alle forze di polizia si concede libertà di acquisto di una seconda arma, oltre a quella di servizio che viene considerata scomoda da portare in giro perché troppo visibile. Come se il problema del nostro paese fosse quello delle poche armi in circolo e aumentarle favorisse la sicurezza.

Sarebbero tante le nuove norme da indagare, a partire da quelle che incriminano le occupazione del domicilio altrui e piegano il diritto penale a logiche di sgombero. Né mancano il rituale incrudelimento contro i migranti, dalla revoca facile della cittadinanza ai “Daspo” urbani ormai assunti a passepartout, adesso per tenere lontani gli accattoni (ancora, i rom) dalle metropolitane. E poi c’è l’ennesimo innalzamento di pena per i casi di rivolta nei Cpr, che da una parte si nega costituiscano luoghi di detenzione, dall’altra nelle norme repressive si accomunano tranquillamente alle carceri.

Quel che preme sottolineare, tuttavia, è che la critica alle politiche «tolleranza zero» del governo non porterà da nessuna parte se chi si oppone non proverà a costruire, possibilmente dal basso, una cultura e una pratica politica alternativa a quella del pugno duro. È questa la scommessa, se si vuole prendere sul serio l’invettiva di Gaber contro i conformisti e non si vuole «scivolare dentro il mare della maggioranza».

 

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