Daniel Ellsberg se ne è andato a 92 anni, pochi giorni dopo il cinquantaduesimo anniversario di quel fatidico 13 giugno 1971 in cui il New York Times iniziò la pubblicazione delle migliaia di pagine di documenti governativi top secret sull’intervento militare degli Stati uniti in Vietnam. Una documentazione che all’epoca mise in imbarazzo democratici e repubblicani, Eisenhower e Kennedy, Johnson e Nixon. Quattro amministrazioni che avevano sistematicamente mentito al popolo americano e provocato la morte di milioni di vietnamiti, cambogiani e laotiani, oltre che di più di 58.000 giovani americani.

VIENE DA CHIEDERSI, oggi, cosa succederebbe se Ellsberg si presentasse all’ingresso del grattacielo di Renzo Piano sulla 40° strada con un fascio di documenti, sia pure compressi in una pratica porta flash invece che in voluminosi malloppi di fotocopie. Il New York Times lo riceverebbe, pubblicherebbe un paio di articoli prudenti ma non ne farebbe una campagna di stampa come avvenne nel 1971. Il mezzo secolo che è passato da allora ad oggi ci ha portato innumerevoli casi di menzogne presidenziali ma la stampa americana non è mai sembrata troppo entusiasta di trasformare le rivelazioni di Julian Assange, Edward Snowden e Chelsea Manning in casi politici. Al contrario, il feticcio della sicurezza nazionale sembra oggi molto più forte di allora, come ironicamente sta scoprendo lo stesso Trump.

DANIEL ELLSBERG era nato a Chicago il 7 aprile 1931, figlio di genitori ebrei askenaziti. Entrò ad Harvard con una borsa di studio e si laureò con lode in economia nel 1952. Nel 1954 si arruolò nei Marines degli Stati Uniti e nel 1958 iniziò a lavorare come analista presso la Rand (il serbatoio di cervelli dell’aviazione). Il suo campo era la strategia nucleare. Nel 1962 ottenne il dottorato di ricerca in economia con una tesi sulla teoria delle decisioni in cui formulava quello che oggi è noto come paradosso di Ellsberg, la base per un’ampia letteratura sviluppatasi a partire dagli anni Ottanta. In sostanza avrebbe potuto fare una brillante carriera accademica.
Scelse invece di tornare al settore pubblico e di passare due anni nel Vietnam del Sud. Questo fu il suo biglietto per entrare, nel 1967, nella commissione voluta dal segretario alla Difesa Robert McNamara per esaminare criticamente la condotta della guerra del Vietnam dal 1945 in poi. Lo studio era intitolato U.S. Vietnam Relations, 1945-1967: A Study Prepared by the Department of Defense, e nelle sue 7.000 pagine descriveva tutti i retroscena del coinvolgimento politico e militare degli Stati uniti in Indocina. Questi documenti top secret sarebbero poi diventati i Pentagon Papers.

LA COMMISSIONE formata da McNamara era stata particolarmente diligente nel compilare i 47 volumi, avendo un mandato ampio e nessun ostacolo burocratico, e questo permise a Ellsberg di capire che il governo americano aveva sistematicamente mentito sugli obiettivi della guerra, sull’andamento delle operazioni militari, sul costo umano del conflitto. Peggio: lo scopo delle menzogne non era proteggere segreti militari, piani di attacco o di difesa. Era semplicemente difendere l’immagine del governo, la sua credibilità, come avrebbe scritto poco dopo Hannah Arendt in un memorabile saggio, Lying in Politics, che rimane ancora oggi un testo di riferimento per discutere dell’opinione pubblica e della libertà di stampa.

ELLSBERG FATICÒ non poco a trovare un interlocutore per i materiali: anche senatori contrari alla guerra, come William Fulbright e George McGovern non osarono portarli in aula. Solo dopo l’inizio delle pubblicazioni da parte del New York Times, seguito dal Washington Post, arrivò tempestivamente la sentenza favorevole della Corte suprema che permetteva la diffusione dei documenti. I giuristi considerano The New York Times Co. v. United States (1971) un pilastro dei diritti di espressione garantiti del Primo emendamento della Costituzione. Due anni dopo, nel 1973, Ellsberg fu processato per spionaggio ma il giudice mise fine al processo perché l’accusa aveva grossolanamente violato i diritti degli imputati: tra l’altro un gruppo di malviventi assoldati dall’amministrazione Nixon aveva fatto irruzione nello studio dello psichiatra di Ellsberg cercando notizie per screditarlo.
Julian Assange, Edward Snowden e Chelsea Manning sono stati meno fortunati.

COME SI SA, Assange è ricercato dagli Stati uniti per spionaggio fin dal 2010 perché WikiLeaks aveva pubblicato le prove degli abusi e alle torture condotte nel carcere iracheno di Abu Ghraib. Dopo aver trovato rifugio per anni nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, che gli aveva concesso asilo politico, Assange è stato arrestato dalla polizia inglese nel 2019 e, pochi giorni fa, ha perso un’ultima battaglia legale per evitare l’estradizione. Sulla stampa americana non ha trovato alcun sostegno significativo.
Snowden, nel 2013, aveva svelato l’esistenza dei programmi di sorveglianza globale dei cittadini americani e non, gestiti dalla National Security Agency con la collaborazione di alcuni governi amici e delle maggiori società di telecomunicazioni. Inizialmente riprese da quotidiani come Guardian e Washington Post, le sue rivelazioni hanno suscitato un dibattito sulla sicurezza nazionale e sulla privacy ma sono state presto dimenticate. L’amministrazione Obama aveva usato una legge del 1917 per incriminarlo, costringendolo a chiedere rifugio in Russia, dove è esiliato da ormai dieci anni.

Chelsea Manning, a sua volta, aveva diffuso attraverso WikiLeaks migliaia di documenti relativi a crimini di guerra in Iraq e Afghanistan, pagando le sue rivelazioni con sette anni di carcere (avrebbero dovuto essere 35 ma Obama le ridusse la pena) e poi con un ulteriore anno di galera per aver rifiutato di testimoniare nelle indagini contro Assange tra il 2019 e il 2020.

DAL 1971 ad oggi gli Usa sono stati praticamente sempre sul piede di guerra, con operazioni limitate come in Iran nel 1975, a Grenada nel 1983, a Panama nel 1989 e poi con operazioni su larga scala, durate decenni, in Afghanistan e in Iraq dopo il 2001. Quando non hanno truppe sul campo rimangono attivissimi nel fornire armi, munizioni e informazioni ai governi amici, come in Ucraina. Senza contare le tensioni con la Cina a proposito di Taiwan. In questo contesto l’ossessione per la segretezza e il feticcio della sicurezza nazionale si sono enormemente rafforzati, i grandi media sono diventati assai docili e la Corte suprema attuale non ha certo la libertà d’informazione e la privacy dei cittadini fra le sue priorità. Daniel Ellsberg ci appare come un personaggio di un passato ormai remot