Il Brasile vince anche senza Neymar. E Lula si riprende la maglia verdeoro
Qatar 2022 La polarizzazione politica non risparmia la passione nazionale per il "futebol". L’infortunio del bolsonarista O Ney e la "cilena" di Richarlison, nuovo idolo della sinistra brasiliana
Qatar 2022 La polarizzazione politica non risparmia la passione nazionale per il "futebol". L’infortunio del bolsonarista O Ney e la "cilena" di Richarlison, nuovo idolo della sinistra brasiliana
Il Brasile vince anche senza Neymar, superando una Svizzera quanto mai ostica. Ed è notizia doppiamente buona per quella parte della torcida che aveva accolto con esultanza l’infortunio di O Ney (per assonanza con O Rey, Pelé) nella partita di esordio contro la Serbia: espressione di una polarizzazione politica che non ha risparmiato neppure la passione nazionale per eccellenza.
ANCHE SUL TERRENO DI GIOCO, insomma, lulisti contro bolsonaristi, e dunque sinistra contro Neymar, cioè contro il più bolsonarista dei calciatori – in grande maggioranza di destra – della Seleção, quello che ha persino partecipato a una delle famigerate dirette di Bolsonaro sulle reti sociali, che ha contribuito a diffondere fake news, su Twitter e Instagram, che gli ha addirittura promesso di dedicargli il suo primo gol ai mondiali.
Un amore, il suo, forse neppure del tutto disinteressato: sul suo capo pesa da anni l’accusa di evasione fiscale ma il procedimento penale a suo carico è stato sospeso e molti pensano ci sia lo zampino del presidente uscente. Lo pensa anche Lula, che così ha commentato durante la campagna elettorale: «Neymar ha il diritto di votare per il presidente che vuole. Penso che abbia paura che, se dovessi vincere le elezioni, io possa scoprire cosa ha fatto Bolsonaro per aiutarlo con il fisco».
Pazienza se contro la Svizzera non abbia di nuovo brillato Richarlison – sostituito anzi al 73’ -, divenuto l’anti-Neymar dopo la doppietta dell’esordio, e soprattutto dopo la sua “cilena” (il gol in rovesciata così chiamato dal primo che, nel 1914, pare abbia inventato quella magia: il calciatore spagnolo naturalizzato cileno Ramón Unzaga Asla, morto di infarto a soli 29 anni).
IRONIA DEL DESTINO, Richarlison è anche il meno bolsonarista di tutti i calciatori: cresciuto in una favela, O Pombo, il “piccione”, si è schierato a favore dei popoli indigeni e della foresta in occasione dell’assassinio di Bruno Pereira e Dom Phillips in Amazzonia; si è scagliato contro il razzismo, ricordando che «il 75% dei poveri sono neri e lo sono anche il 76% di quanti muoiono di morte violenta»; e ha donato bombole di ossigeno durante la crisi sanitaria nello stato di Amazonas nel gennaio del 2021, in piena pandemia.
Richarlison ieri è uscito dal campo insieme a Raphinha, l’ala del Barcellona che con più trasporto aveva difeso Neymar: «I tifosi dell’Argentina trattano Messi come un dio. Quelli del Portogallo trattano Cristiano Ronaldo come un re. Quelli brasiliani tifano perché Neymar si rompi una gamba. Il più grande errore della carriera di Neymar è stato nascere brasiliano: questo paese non merita il suo talento e il suo calcio».
SULLE RETI SOCIALI LE POLEMICHE non si spengono: Neymar, sostengono gli uni, raccoglie quanto ha seminato. La politica, sostengono gli altri, non dovrebbe mescolarsi con lo sport. Ma è proprio a questi ultimi che ha risposto su Twitter l’attore e comico Gregório Duvivier: «Ah, il calcio non ha niente a che vedere con la politica! Ditelo a Neymar. Nessuno lo ha obbligato a dichiarare il proprio voto e a promettere di dedicare il gol a un criminale miliziano golpista che ha perso le elezioni».
LO SCONTRO INVESTE anche la mitica maglia verdeoro, di fatto sequestrata da Bolsonaro e dai suoi simpatizzanti durante tutta la campagna elettorale e ora anche nelle proteste golpiste che proseguono per le strade e davanti alle caserme: un’appropriazione che finora non era riuscita a nessuno, nemmeno alla giunta militare. «L’estrema destra di Bolsonaro ha distrutto ogni cosa al suo passaggio, persino l’affetto per la maglia», ha commentato l’ex attaccante Walter Casagrande Jr., che tra il 1987 e il 1993 ha giocato nell’Ascoli (dove volle rimanere anche dopo la retrocessione) e nel Torino, e la cui tormentata storia, di droga e di riscatto, è raccontata nel libro Casagrande: all’inferno e ritorno di Enzo Palladini (Edizioni inContropiede). «Se si usa la maglia a fini politici, perdiamo la nostra identità», ha twittato anche lo stesso Richarlison.
COSÌ AD ANDARE A RUBA, a sorpresa, è la maglia di riserva, azzurra ma con un motivo a macchie di giaguaro blu e gialle sulle maniche, ispirato – secondo la stessa Confederação Brasileira de Futebol – proprio al giaguaro del Pantanal, la più grande area umida del pianeta.
Ma ci sono anche quelli che alla maglia con i colori della bandiera, quella legata alle gesta di Garrincha, Pelé, Falcao, Sócrates, Ronaldo, Ronaldinho – giusto per fare qualche nome – non vogliono affatto rinunciare. Primo tra tutti Lula che, nel giorno della partita d’esordio, aveva postato una sua foto con la maglia canarinho: «Oggi – aveva scritto – comincia la disputa per il sesto titolo. Useremo la nostra maglia verdeoro, la indosseremo con orgoglio e accompagneremo la nazionale. Tiferemo insieme per il Brasile».
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