Il 25 aprile e l’elaborazione del passato fascista
La corazzata Roma, con la livrea mimetica modello 1942, probabilmente nel porto della Spezia foto Wikipedia
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Il 25 aprile e l’elaborazione del passato fascista

Memoria viva Per una corretta analisi storica, oltre a dar valore alla Resistenza, bisogna prevedere una martellante politica del ricordo di cosa è stata veramente la guerra di Mussolini

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 27 aprile 2024

Quest’anno il 25 aprile ha acquistato un significato particolare perché ha voluto gridare in faccia al governo che l’Italia non è fascista. Ma questo non esaurisce il discorso, e non parlo del legame che la scadenza inevitabilmente rimanda alla tragedia palestinese.

Mi riferisco all’elaborazione della memoria della Resistenza, anzi più in generale all’elaborazione del passato fascista. Un problema dal quale né l’Italia né la Germania riescono a liberarsi e che ritorna periodicamente ogniqualvolta esso ricompare come passaggio ineludibile della coscienza collettiva, se non dell’identità stessa di una nazione.

Ci pensavo mentre rileggevo certi studi comparatistici di storici italiani e tedeschi, dove si solleva un problema non da poco: l’esaltazione della Resistenza come caratterizzazione dell’identità nazionale ci ha portato ad addossare tutte le responsabilità delle atrocità commesse ai militari tedeschi e ai corpi speciali del nazismo, come se gli Italiani (“brava gente”) non avessero collaborato ai rastrellamenti, alle deportazioni e alle torture.

Ha prodotto una forma di autoassoluzione. Mi chiedo allora se una corretta elaborazione del passato fascista, oltre a dar valore alla Resistenza, non debba prevedere una martellante politica del ricordo di cosa è stata veramente la guerra di Mussolini. Per ricordare altre date, accanto al 25 aprile: il 10 giugno 1940, entrata in guerra e aggressione alla Francia (oltre all’apertura delle ostilità in Tunisia), il 28 ottobre 1940, inizio della campagna d’aggressione italiana in Jugoslavia, Albania e Grecia, il 13 luglio 1941, inizio della campagna d’aggressione all’Unione Sovietica. Per sottolineare anche “il modo” con cui Mussolini è entrato in guerra, con impreparazione totale sul piano organizzativo e militare, mandando allo sbaraglio centinaia di migliaia di soldati italiani, caduti per aver aggredito popoli che mai avevano minacciato l’integrità del nostro Paese.

Io sono convinto che le nuove generazioni di queste vicende ne sanno assai poco. Eppure è la storia delle loro famiglie. Forse sanno di più delle foibe e dell’esodo dall’Istria, cioè di un episodio marginale, se paragonato all’immensa tragedia della Seconda guerra mondiale.. È proprio il confronto tra un saper fare “politica del ricordo” della Destra d’indubbia efficacia, disponendo di un episodio marginale, e un’incapacità della Sinistra di controbattere disponendo di atti d’accusa contro Mussolini e il suo regime senza possibilità di appello che mi dà la sensazione di una sproporzione. Bisogna rimettere le cose a posto.

Per non dire del modo in cui Badoglio e il re gettarono nel disorientamento più totale centinaia di migliaia di soldati, consegnandoli alla vendetta tedesca dopo l’armistizio. I seicentomila Internati Militari in Germania e le decine di episodi dove l’orrore si mescola al grottesco. Come la storia dell’affondamento della corazzata “Roma”, qualche mese fa commemorata da Mattarella e Crosetto.

Corazzata “Roma”, costruita a Trieste, cantieri San Marco. Mio padre ci ha lavorato come progettista d’impianti elettrici. Varata nel 1940 ma ultimata solo nel 1942, ormeggiata alla base navale di La Spezia, in attesa di entrare in servizio subisce un bombardamento che provoca pochi danni. Luglio 1943 sbarco angloamericano in Sicilia. 8 settembre Badoglio firma l’armistizio, nella notte ai comandi della flotta arriva l’ordine di consegnarsi agli Alleati. Salpano in convoglio le navi, solo gli alti comandi sanno la destinazione. E le migliaia di uomini a bordo, sono ignari di tutto?

La destinazione è La Maddalena ma poche miglia prima dell’arrivo contrordine, la base è ancora in mano ai tedeschi. Sono circa le 15,0 del 9 settembre 1943, compaiono nei cieli dei bombardieri tedeschi. Uno sgancia sulla “Roma” due bombe teleguidate, la seconda provoca un incendio che si propaga al deposito munizioni. L’esplosione è spaventosa e provoca delle temperature altissime, dei 1.393 uomini che perdono la vita, molti saranno orribilmente ustionati. La nave si spezza in due, il relitto scompare negli abissi e non viene più ritrovato fino al 28 giugno 2012, quando dei robot sottomarini riescono a localizzarlo.

Nell’ottantesimo anniversario, il 9 settembre 2023, il Presidente Mattarella è presente alla cerimonia in ricordo di quel tragico evento, pronunciando parole chiare sull’”inganno” di cui sono rimaste vittime quei disgraziati. C’era anche Crosetto e dice: «Siamo qui, oggi, per portare il dovuto omaggio e perpetrare il ricordo dei 1.393 marinai italiani che trovarono sepoltura in queste acque, 80 anni fa, e – insieme – la perenne memoria di quello che significò per il nostro Paese il viaggio del Gruppo Navale della Regia Marina, ormeggiato a La Spezia, verso La Maddalena». La stampa, nelle cronache della cerimonia, non ha fatto parola del contesto in cui l’affondamento è avvenuto.

Perché sono morti quei ragazzi? In quale tipologia di narrazione iscriviamo questo evento bellico? Possiamo parlare di eroismo, di patriottismo, di epopea? Sono caduti in una trappola, ignari, come gattini ciechi, ingannati. Da chi? Da Mussolini o da Badoglio? Per strane associazioni d’idee mi viene da collegare Crosetto a Mussolini e Badoglio (e il re) alla famiglia Elkann, a Stellantis. Due forme di continuità. Perché non c’è antifascismo senza anticapitalismo. Così mi ha insegnato l’operaismo.

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