A una settimana dalle devastanti inondazioni che hanno provocato migliaia di morti nella città libica di Derna, i soccorritori locali e stranieri cercano ancora i corpi di migliaia di persone che secondo le autorità locali risultano «disperse».
In questa città di 100mila abitanti che si affaccia sul Mediterraneo le alluvioni causate dalla tempesta Daniel e il cedimento di due dighe per mancanza di manutenzione, hanno lasciato un paesaggio di desolazione: ponti e quartieri distrutti, palazzi ancora sepolti dal fango o crollati, alberi sradicati e cadaveri.

Ieri la Mezzaluna rossa indicava un «bilancio provvisorio di 11mila vittime ritrovate, 4mila identificate e altre 9mila persone ancora disperse», molto probabilmente rimaste sepolte sotto il fango che in alcune zone della città ha raggiunto case e palazzi fino al terzo piano di altezza.

Questo lunedì l’Onu ha avvertito che un’epidemia di colera potrebbe creare «una seconda crisi altrettanto devastante» e il Centro libico per il controllo delle malattie ha vietato di bere acqua dalla rete locale. «Ho visto con i miei occhi la portata di una crisi che va oltre la capacità della Libia di gestirla», ha affermato l’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Abdoulaye Bathily.
La mobilitazione internazionale resta forte, con decine di aerei che atterrano a Bengasi e trasportano squadre di soccorso e assistenza fornite da numerosi paesi e organizzazioni internazionali. Ma secondo l’Onu manca un coordinamento logistico che permetta di arrivare «in sicurezza e con precisione nelle aree più colpite». Difficoltà evidenziate ieri dalla morte di 5 soccorritori greci in un incidente stradale.

La disperazione sta lasciando il posto a una grande rabbia tra gli sfollati e i sopravvissuti di Derna per la tragedia che si poteva evitare. Lunedì numerosi manifestanti si sono radunati davanti alla moschea di al-Shabana, nel centro della città, per chiedere ad Aguila Saleh, capo del parlamento di Tobruk, di dimettersi e sciogliere il parlamento. Nei loro slogan accuse all’«inefficienza del governo», visto come il vero responsabile per la morte di oltre il 20% dei cittadini. Proteste sfociate con l’incendio della casa del sindaco, Abdulmenam al-Ghaithi, accusato di aver rubato i soldi destinati alla manutenzione delle due dighe: oltre 2 milioni di dollari stanziati dal governo nel 2010.

Per evitare ulteriori proteste in città l’uomo forte della Cirenaica, maresciallo Khalifa Haftar, ha annunciato l’apertura di un’indagine da parte della procura libica.