La marginalità delle aree interne in Italia è cresciuta negli ultimi anni: sempre più comuni sono lontanissimi dai centri di erogazione dei servizi essenziali. Sono ben 1.906, quasi un quarto del totale, quelli che ricadono nella definizione di «periferico» e «ultra-periferico», cioè territori caratterizzati da una percorrenza superiore ai 40,9 minuti o ai 66,9 minuti dai «poli», cioè dai centri dov’è presente un’articolata offerta scolastica secondaria superiore, un ospedale sede di Dipartimento di emergenza urgenza e accettazione (Dea) di I livello e una stazione ferroviaria di livello Platinum, Gold o Silver. Erano 1.767 nel 2014. Oggi gli italiani che abitano in questi comuni sono 5,37 milioni, contro i 4,22 del 2014. Rappresentano il 40% dei 13,43 milioni di italiani residenti nelle aree interne.

Abbiamo chiesto a cinque amministratori delle aree interne, del Nord, del Centro e del Sud del paese, di dettare le proprie priorità al prossimo parlamento. Secondo Roberto Colombero, già sindaco di Canosio (Cn) e presidente di Uncem Piemonte, «l’obiettivo principale dev’essere la definizione di una nuova architettura istituzionale, che permetta ai comuni di lavorare insieme: dopo la grande stagione populista in cui tutti gli enti intermedi dovevano essere cancellato, perché rappresentavano una costo». È d’accordo con lui Gianfilippo Mignogna, sindaco di Biccari (Fg), sui Monti Dauni: «Serve un rafforzamento delle strutture comunali, che oggi sono presidi molto deboli: ci sono pochi amministratori locali ed è ridotto il numero del personale dipendente. Il ruolo dei Comuni nelle aree interne è fondamentale, ma è anche il primo elemento di debolezza» secondo Mignogna. Che aggiunge: «Bisogna preoccuparsi delle comunità locali, perché non bastano i finanziamenti del Pnrr se il coinvolgimento è zero: occuparsi delle persone, far sì che possano essere residenti con dignità e con una fiducia diversa nei confronti del territorio e del futuro».

Secondo Raffaella Mariani, sindaca di San Romano in Garfagnana (Lu) e vice-presidente del Parco Nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, «la priorità per rendere giustizia definitiva ai territori minori delle aree interne è poter garantire servizi essenziali, in via prioritaria assistenza socio-sanitaria, istruzione e scuole, anche derogando rispetto ai criteri che assegnano presidi in base al numero degli abitanti, perché lo spopolamento rischia di diventare una spirale. Milioni di cittadini italiani che devono poter rimanere nelle aree interne, anche per realizzare un presidio ambientale».

Per Enrico Bini, collega di Castelnovo ne’ Monti (Re), questo può essere realizzato «rilanciando il progetto della Strategia nazionale aree interne (Snai) e della Federazione dei sindaci delle aree interne, che fa far rete ai comuni». È d’accordo con lui Luca Santilli, sindaco di Gagliano Aterno (Aq), secondo cui dovrebbe essere approvata una legge sulle aree interne, che rafforzi la Snai. Inoltre, aggiunge, «servono misure capaci di finanziare interventi di “tipo immateriale”, che non riguardano infrastrutture o l’acquisto di beni e servizi. Manca, anche nel Pnrr, ogni possibilità di finanziare l’intervento di figure che possano generare attivazione: il nostro comune rappresenta un esempio importante nell’Appennino, ma se non fossero arrivati a Gagliano gli antropologi di Montagne in movimento non avremmo generato da un anno e mezzo a questa parte progettualità e innovazione in paese. Si tratta di interventi importanti sul fronte delle “rigenerazione”, ma tutto è stato finanziato esclusivamente con risorse comunali».