Cindy Ngamba, pugile, si è avvicinata ai guantoni in Camerun, dove è nata 26 anni fa, per poi trasferirsi nel Regno Unito. Lì si allena, lì vive, ma – paradosso – non può accedere alla cittadinanza britannica nonostante i tre titoli nazionali vinti da dilettante. Ci sarà anche lei a Parigi tra qualche settimana, alle Olimpiadi nel team dei Rifugiati che giunge così alla terza esperienza olimpica, dopo Rio de Janeiro 2016 e Tokyo 2020. Cindy è anche la prima atleta dei rifugiati a entrare a far parte del roster dei testimonial di Nike. In queste ore è virale il video “Watch where are going” (Guarda dove vogliamo arrivare) di cui è protagonista. L’endorsement al team di atleti rifugiati è collettivo e alcuni fuoriclasse che saranno ai Giochi come Novak Djokovic hanno definito “ispiratore” il progetto del Cio.  La multinazionale americana ha siglato una partnership di due anni con l’Olympic Refuge Foundation e supporterà il programma di borse di studio per atleti rifugiati, gestito dall’ORF – Fondazione dei Rifugi Olimpici, che supervisiona la squadra olimpica dei rifugiati, portando oltre 300 mila sfollati ad avvicinarsi alla pratica sportiva – oltre a fornire uniformi e materiale tecnico ai Giochi parigini.

LA SQUADRA olimpica dei rifugiati sarà composta da atlete e atleti riconosciuti dall’UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di rifugiati appunto, di persone che sono sfuggite dalla persecuzione e dalle violenze del proprio paese: sono 36 atleti (13 donne), suddivisi in 12 discipline, con una bandiera e il sogno, come quello di tutti gli atleti, di salire su un gradino del podio, rappresentando circa 100 milioni di sfollati presenti nel mondo. La squadra Olimpica Rifugiati avrà l’acronimo EOR, dal francese ‘équipe olympique des réfugiés’. Per la prima volta il Team avrà un proprio logo, con un cuore al centro, per rendere la squadra più unita, invece di gareggiare sotto la bandiera olimpica. Saranno in gara atleti da tre continenti, da 11 paesi: l’Iran è il più rappresentato con 14 atleti, a seguire nella lista ci sono Siria e l’Afghanistan. Un paio ha trovato casa in Italia. Come Hadi Tiranvalipour (taekwondo) che si allena a Roma e Iman Mahdavi, 29enne (lotta libera) che si allena nelle vicinanze di Milano: è figlio d’arte, il padre era un lottatore con sette medaglie ai campionati nazionali. Non è ovviamente un caso che entrambi siano iraniani: la lotta è uno sport di grande popolarità e lignaggio che ha portato 47 medaglie olimpiche.  L’eredità paterna non è bastata a farlo rimanere in patria: via nel 2020 per allontanarsi dal regime totalitario di Teheran per non mettere in pericolo la sua famiglia, poiché lui non era praticante della religione islamica. Quindi, a piedi fino in Turchia, poi sull’aereo per l’Italia. Non vede i suoi parenti (madre e fratelli) da quattro anni. Ma con lo status da rifugiato in Italia, l’iraniano negli anni ha partecipato nella sua categoria di peso sia a Europei che Mondiali. E ora vola a Parigi.