I reporter russi uccisi in Repubblica Centroafricana indagavano sul controllo militare delle miniere d’oro
Russia/Repubblica Centroafricana I giornalisti russi uccisi erano stati inviati dall’ex oligarca Khodorkovsky Seguivano la pista della presenza paramilitare russa nel paese
Russia/Repubblica Centroafricana I giornalisti russi uccisi erano stati inviati dall’ex oligarca Khodorkovsky Seguivano la pista della presenza paramilitare russa nel paese
Più emergono dettagli e contorni della vicenda dell’uccisione dei tre giornalisti russi la sera del 30 luglio non lontano da Sibut città della Repubblica Centroafricana e più la ricostruzione ufficiale dei fatti, secondo cui i reporter sarebbero stati uccisi da un gruppo di rapinatori locali diventa se non del tutto implausibile, non così inattaccabile. Ma soprattutto viene alla luce come potenze statuali, in questo caso la Russia, intervengano in alcune realtà del mondo per controllarne il territorio e le risorse in puzzle di soprusi, illegalità, sfruttamento di paesi in cui spesso la popolazione non ha neppure accesso all’acqua potabile e dove i bambini muoiono di denutrizione.
I TRE GIORNALISTI RUSSI erano stati finanziati dall’ex-oligarca antiputiniano Michail Khodorkovsky per realizzare un reportage sulla presenza del «Gruppo Wagner» nella Repubblica Centroafricana, una struttura miliare privata russa già operante nel Donbass e in Siria. Gestione di flussi di migranti e reclutamento di foreign fighers era l’ipotesi iniziale su cui i tre volevano lavorare.
Ma dal loro arrivo nella Repubblica Centroafricana i giornalisti devono aver iniziato a seguire delle altre piste. Piste che conducono alla guerra per il controllo delle miniere di diamanti, oro e uranio di cui è ricco il paese africano.
Il primo campanello d’allarme sulla penetrazione politico-militare russa in Africa era squillato alla fine del 2017 quando una inchiesta del sito russo The Bell dimostrò che «M Invest» società russa appartenente a Evgeny Prigogin aveva ottenuto la concessione per lo sfruttamento di una miniera d’oro in Sudan. L’inchiesta aveva portato alla luce anche che nella regione erano stati inviati foreign fighters russi per addestrare delle divisioni dell’esercito sudanese per spostarsi nella Repubblica Centroafricana, un particolare che conduceva direttamente al Cremlino.
INFATTI NELL’OTTOBRE DEL 2017 il presidente del paese centrafricano Faustin-Archange Touadéra e il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov si erano visti a Soci per stringere una serie di accordi commerciali. Al termine dell’incontro venne sottoscritto un protocollo in cui si parlava delle «potenzialità del partenariato per lo sfruttamento delle risorse minerarie e fornitura di materiale militare russo». All’inizio del 2018 la Russia ha inviato una prima fornitura di armi al paese e poi spedito 5 militari e 170 «formatori civili per le forze di sicurezza locali».
TUTTO CIÒ ERA NOTO ALL’ONU che aveva autorizzato gli invii. ll ministero degli esteri russo aveva aggiunto però di suo che «si sarebbe avviata la ricerca di concessioni minerarie» nel paese. Quello che forse non poteva essere noto all’Onu e su cui i tre giornalisti stavano approfondendo la ricerca è che presumibilmente i 170 «formatori» russi non fossero altro che dei «wagneriani» spediti nel paese a scovare miniere controllate da gruppi di opposizione o della criminalità organizzata, visto che il governo centrale da quando è iniziata la guerra civile nella Repubblica controlla la capitale e solo, a macchia di leopardo, altre provincie del paese. Secondo quanto sostiene Vedomosti in una lunga inchiesta pubblicata ieri i tre giornalisti quando sono stati assassinati intendevano raggiungere la miniera di Ndassim che si trova non lontano dall’ex base militare di militanti del gruppo musulmano dell’opposizione «Selek» a Bambari. Nel 2013, per Reuters, il deposito era passato sotto il controllo dei ribelli. Con metodi artigianali, i guerriglieri musulmani riuscivano a estrarre circa 15 kg di oro al mese venduti poi sul mercato locale a 350.000 dollari.
A METÀ LUGLIO, la rivista Africa Intelligence ha riferito che la Russia avrebbe concordato con il governo centroafricano di poter sfruttare i giacimenti di Ndassim ancora minacciati dai gruppi locali della guerriglia. Le due società russe che possiedono ora il contratto per lo sfruttamento a Ndassim sono la Lobaye Invest e la Sewa Security Service di proprietà di Evgeny Prigonin conosciuto come lo «chef di Putin»; in realtà sarebbe lui a tirare le fila dei «wagneriani». Secondo la rivista l’azione dei russi per porre sotto controllo le ricchezze dello Stato africano non riguarderebbe solo Ndassim: «A Birao, Bouar e Bria i russi sono alla ricerca di opportunità per accedere alla estrazione di risorse naturali». Sul territorio della Repubblica Centroafricana, i russi si sposterebbero su un aereo noleggiato da Lobaye Invest, un Cessna 182. Ad aprile dei residenti della città di Kaga-Bandoro hanno potuto notare che a bordo c’erano istruttori civili russi e secondo The Insider, questo velivolo dall’inizio del 2018 ha effettuato diversi voli attraverso il territorio dello Stato.
A FEBBRAIO IL CESSNA è stato visto sorvolare i centri amministrativi di Birao, Alindao, Bria e Cabo, tutti ricchi di uranio, oro e diamanti. Ciò ha reso l’Onu sempre più sospettosa sugli scopi della presenza russa sul territorio. Khodorkovsky sostiene che due giorni dopo Orhan Jemal, Alexander Rastorguev e Kirill Radchenko avrebbero dovuto incontrare un rappresentante della missione di pace Onu. Ma per riferirgli cosa, il magnate russo non vuole o non può forse dirlo. È sicuro però che ora l’Onu ha messo sotto la lente d’ingrandimento l’attività russa nella Repubblica.
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