In attesa della diplomazia, si muovono le armi. Da occidente a oriente e in senso opposto, anche se non sempre finiscono nelle mani di chi ci si attende. È il caso di alcuni razzi della Corea del Nord utilizzati dall’esercito ucraino.

Secondo il Financial Times, si tratta di armi sequestrate da una nave di un paese «amico» prima di essere consegnate a Kiev. Lecito pensare che i razzi avrebbero dovuto arrivare a Mosca, che più volte si è sospettato possa aver ricevuto rifornimenti nordcoreani.

Nei giorni scorsi, il ministro della difesa russo Sergei Shoigu è stato in visita a Pyongyang per le celebrazioni del 70esimo anniversario dell’armistizio della guerra di Corea. Un viaggio che secondo il segretario di Stato americano Antony Blinken sarebbe servito anche a ottenere armi. Shoigu e Kim Jong-un si sono visti due volte e hanno espresso la volontà di «rafforzare la cooperazione militare».

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DI CERTO, armi ne mandano gli Stati uniti a Taiwan. La Casa bianca ha annunciato il primo storico invio di aiuti militari (345 milioni di dollari) basato sulla Presidential Drawdown Authority, la stessa che Joe Biden ha usato a più riprese per l’Ucraina. Stavolta le modalità non sono d’emergenza come per Kiev, ma è in ogni caso una primizia da quando Washington ha interrotto i rapporti diplomatici ufficiali con Taipei nel 1979.

Da allora sono sempre state effettuate vendite, l’ultima da 440 milioni solo poche settimane fa. Ma Taiwan spesso e volentieri ha lamentato ritardi nelle consegne: secondo la repubblicana Young Kim, ci sarebbe addirittura un arretrato di 21 miliardi di armi non consegnate. Tra cui i droni SeaGuardian, che non dovrebbero essere previsti nel nuovo pacchetto in cui sarebbero inclusi sistemi di difesa aerea, munizioni per armi leggere, sostegno alla formazione e quattro droni da ricognizione.

Se non sul tipo di armi, il salto di qualità è nel modo in cui queste verranno inviate. Non è uno sviluppo imprevisto. Nel bilancio 2023, il Congresso Usa ha autorizzato fino a un miliardo di dollari di aiuti per Taipei. Pechino aveva criticato già allora. E nei giorni scorsi il ministero della difesa ha parlato di «atti dolosi» che «danneggiano seriamente la sicurezza nazionale della Cina e sono una minaccia per la pace».

Lecito attendersi nuove tensioni e manovre militari sullo Stretto, anche in corrispondenza del doppio passaggio negli Stati uniti del vicepresidente taiwanese Lai Ching-te, all’andata e al ritorno dalla cerimonia d’insediamento di Santiago Peña a presidente del Paraguay. Il viaggio disturba molto Pechino: Lai è anche il candidato a lei più ostile alle presidenziali del 2024.

Nei giorni scorsi, si sono peraltro svolte a Taiwan le esercitazioni annuali Han Kuang, volte a testare la capacità di reazione militare e civile di fronte a un ipotetico attacco. Per la prima volta sono stati impiegati anche gli aeroporti civili, compreso quello internazionale di Taoyuan.

TRA LE URGENZE, per i funzionari taiwanesi c’è dotarsi di un sistema satellitare: non Starlink, vista la sfiducia verso Elon Musk. Secondo il South China Morning Post, si starebbe trattando l’acquisizione del sistema di comunicazioni tattiche Link 22, dotato di tecnologie Nato.

Nel frattempo, già ieri è partito per gli Usa Terry Gou. «Andrò a convincere i falchi a non trasformare Taiwan nella prossima Ucraina», ha detto il patron della Foxconn, primo fornitore di iPhone per Apple. Per i media locali è possibile un incontro con Henry Kissinger.

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In molti a Taipei sono convinti che Gou si candiderà alle elezioni contro Lai, magari in tandem con l’ex sindaco Ko Wen-je. Ipotesi che non dispiacerebbe a Xi Jinping, vista la sua posizione dialogante e i numerosi interessi di Foxconn nella Repubblica popolare. E forse non dispiacerebbe neppure a Donald Trump, che nel 2019 aveva accolto Gou alla Casa bianca.