«Gli autori della riforma giudiziaria non sono un corpo estraneo, non sono giunti da un altro pianeta per prendere possesso di Israele. Sono parte di Israele, sono un risultato del nostro sistema. Un tempo erano una minoranza, ora sono al potere». Rispondendo alle nostre domande Dror Ektes, fondatore dell’organizzazione progressista Kerem Navot, e uno dei massimi esperti di colonizzazione israeliana, respinge la tendenza marcata tra gli israeliani che da mesi protestano contro la riforma della giustizia a considerare il governo, il primo ministro Netanyahu e i suoi ministri, come dei «pirati stranieri» intenzionati ad appropriarsi e trasformare lo «Stato di Israele laico e democratico» in una teocrazia. «Non so se oggi queste forze di destra religiose al governo rappresentino la maggioranza degli israeliani come era emerso alle elezioni di novembre ma sono sempre state presenti nella società», ci dice mentre i notiziari riferiscono della battaglia legale avviata dal Procuratore generale Gali Baharav-Miara che ha chiesto all’Alta Corte di giustizia di bocciare la legge approvata a marzo dalla Knesset – di fatto a protezione del premier Netanyahu sotto processo per corruzione – che impedisce ai giudici di ordinare a un primo ministro accusato di gravi reati di dover lasciare l’incarico.

Ektes, svolgendo le sue ricerche in Cisgiordania, ha conosciuto non pochi degli esponenti politici e religiosi che hanno portato il «Messianesimo» e la «Redenzione» dagli insediamenti coloniali alla Knesset e poi al governo. «Proprio lo Stato li ha finanziati e sostenuti in tutti questi anni allo scopo di negare i diritti dei palestinesi (sotto occupazione), nonostante fossero dei fanatici. Oggi queste persone sono al potere per realizzare la loro visione del futuro Israele», spiega il ricercatore.

L’obiettivo è uno Stato ancorato alla Torah ebraica da raggiungere allo stesso tempo con gli strumenti forniti dal sistema politico – elezioni e legislazione – e con la totale disconnessione dai sistemi statali israeliani. Il partito del Sionismo religioso del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich crede sia possibile e necessario cambiare le cose dall’interno. Il ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir, di Otzma Yehudit, invece fa più riferimento al rabbino Yitzchak Ginsburgh, 78 anni, nato negli Usa e residente delle colonia di ultradestra di Yizhar. Ginsburgh è la stella più luminosa del firmamento nazionalista religioso, il teorico dell’Israele ancorato ai testi sacri. I suoi libri sono letti da centinaia di migliaia di israeliani ebrei, dirige localmente il movimento Chabad e ha un vasto apparato di propaganda. Nella visione del mondo di Ginsburgh, la vendetta ha un valore speciale, una vitalità propria e Dio la stima.

Il professor Motti Inbari, uno dei massimi esperti di fondamentalismo ebraico, in una recente intervista ha sottolineato quanto i finanziamenti dello «Stato democratico» israeliano siano stati essenziali per permettere a Ginsburgh di ottenere tanto potere e influenza. Nonostante il rabbino ultranazionalista dichiari in pubblico che per motivi religiosi è proibito prendere soldi dallo Stato. Secondo Inbari, Ginsburgh ha tre obiettivi: sradicare il sistema laico-sionista per instaurare un regime basato sulla Torah; schiacciare la Corte suprema e soggiogare le Forze armate. In questo contesto i palestinesi dovranno restare sotto occupazione militare per sempre, senza opporsi, altrimenti saranno colpiti duramente. D’altronde Ginsburgh deve la sua enorme fama e popolarità anche alla sua linea dura verso i palestinesi. Ha scritto più volte in difesa di Baruch Goldstein, il colono che quasi trent’anni fa uccise 29 palestinesi a Hebron.

L’altro religioso che spinge per uno Stato di Israele che sia guidato esclusivamente dalla Halakha, la legge ebraica, è il rabbino Zvi Thau, leader della scuola religiosa di Har Hamor. Deve le sue fortune alla fondazione del partito Noam, omofobo e contro i diritti delle donne. Malgrado ciò Noam è stato inserito da Netanyahu nel governo con un incarico nell’istruzione. «Un dato accomuna chi invoca la difesa della democrazia e i fautori della teocrazia» commenta con amarezza Dror Ektes «Nessuno delle due parti mette in discussione l’apartheid che subiscono i palestinesi nei Territori».