Nel 2019, il cittadino texano Zackey Rahimi ha aggredito la sua compagna in un parcheggio di Arlington, l’ha trascinata nella sua macchina e la ha minacciata con un’arma, aprendo anche il fuoco contro un passante colpevole di essersi fermato a guardare. Riuscita a fuggire, la donna si è rivolta a una corte perché ingiungesse un ordine restrittivo a Rahimi, e lo ha ottenuto. In base alla legge federale, un ordine restrittivo per violenza domestica è uno dei pochissimi casi che consente di limitare il diritto costituzionale a possedere un’arma sancito dal Secondo emendamento. Ma ora proprio il cittadino Rahimi potrebbe diventare il “testimonial” di un ulteriore allargamento di quel “diritto”, sulla pelle delle donne vittime di violenza. A fine giugno infatti la Corte suprema ha accettato di sentire, nel corso della sua prossima sessione che comincia a ottobre, il caso United States v. Rahimi.

DOPO L’ORDINE restrittivo, l’uomo texano non è stato particolarmente ligio alle prescrizioni del tribunale: come si legge nella petizione del governo presentata ai giudici costituzionali, nel giro di appena due anni Rahimi ha collezionato una non invidiabile sfilza di «violazioni». Ha minacciato un’altra donna con un’arma, ha sparato – con un Ar-15 – contro la casa di un uomo che aveva «sparlato» di lui, il giorno dopo ha sparato a un uomo con cui aveva fatto un incidente in macchina, «è fuggito, è ritornato sulla scena, ha sparato ancora contro la macchina ed è fuggito di nuovo». Poche settimane dopo ha inchiodato e fatto inversione a u in autostrada per inseguire un camion reo di avergli fatto i fari, per poi sparare «a un’altra macchina che stava dietro il camion». Per concludere, prima di venire arrestato, con un attacco di rabbia a un fast food: dopo che la carta di credito di un amico è stata rifiutata «ha estratto un’arma e ha fatto fuoco in aria diverse volte».

Incriminato per aver violato l’ordine che gli imponeva di non possedere – e tanto meno scaricare contro chiunque passasse – armi da fuoco, ha provato a difendersi sostenendo che erano stati violati i suoi diritti costituzionali. Quando l’appello al Secondo emendamento non ha funzionato si è dichiarato colpevole ed è stato condannato a sei anni di carcere. La corte d’appello che aveva confermato la sua condanna, però, ha rivisto il suo caso proprio dopo che la Corte suprema, nel giugno 2022, ha emanato la sua sentenza di annullamento della legge dello stato di New York che limitava i casi in cui è possibile per i cittadini portare armi nascoste. In quella sentenza, il giudice Clarence Thomas aveva stabilito che «il governo deve dimostrare che le normative siano coerenti con la tradizione storica di questa nazione in fatto di regolamentazione delle armi da fuoco». Tanto è bastato perché la Corte d’appello conservatrice che aveva ripreso in mano il caso di Rahimi sentenziasse che «i nostri antenati non avrebbero mai accettato» la legge sugli ordini restrittivi per violenza domestica. La sentenza ha invalidato per incostituzionalità la legge federale in Texas, Mississippi e Louisiana. Spetta ora ai nove giudici, o meglio alla supermaggioranza conservatrice, decidere se questo varrà per tutti gli Stati uniti.

PER ORA, FRA I CASI che la Corte suprema ha accettato di sentire nella sua prossima sessione non ci sono “blockbuster” eclatanti come quello che le ha consentito di negare il diritto all’aborto, o a una valutazione della razza degli studenti fra i criteri per l’ammissione al college. Ma il diavolo si annida nei dettagli, e alcuni casi sulla scrivania dei giudici potrebbero continuare l’erosione giudiziaria delle democrazia americana. Uno – Consumer Financial Protection Bureau v. Community Financial Services Association of America – potrebbe infliggere un colpo letale a un’agenzia federale istituita, all’epoca di Obama (dal Dodd-Frank Act post Grande recessione) per proteggere i consumatori dalle «pratiche predatorie» di banche, broker, compagnie di recupero crediti. Loper Bright Enterprises v. Raimondo potrebbe invece ampliare il potere dei giudici sull’interpretazione di questioni specialistiche su cui di solito sono le agenzie federali specializzate in materia ad avere più voce in capitolo (per esempio l’Environment Protection Agency su temi legati all’ambiente).

TORNA DAVANTI alla Corte anche un caso di gerrymandering razzista: in South Carolina, dove le mappe elettorali sono state disegnate dai repubblicani per diluire il voto dei cittadini afroamericani di un distretto della contea di Charleston. «Un caso da manuale di mappa discriminatoria», scrive l’American Civil Liberties Union. Resta da vedere cosa ne penserà la corte ultra reazionaria.