«La Repubblica islamica è a un bivio. Può irrigidirsi ulteriormente, diventando una dittatura spietata con i pasdaran che scavalcano il clero, ma parte del regime ha memoria di come nel 1979 la brutalità dello scià ne abbia accelerato la fine. Oppure si cerca di salvare il sistema facendo concessioni sostanziali ai cittadini».

Sono questi gli scenari possibili per Riccardo Redaelli. Direttore del Master in Middle Eastern Studies (MIMES) dell’Università Cattolica di Milano, è autore del saggio L’Iran contemporaneo (Carocci 2015).

Giovedì il leader religioso sunnita Mowlavi Abdulvahid Rigi è stato rapito e ucciso nel Sistan e Balucistan. Che significato ha questo assassinio?

Le dinamiche di sicurezza in quella provincia sono complesse, spesso legate a questioni locali e traffici illeciti di droga. Se le forze di sicurezza avessero eliminato un religioso sunnita per un coinvolgimento nelle proteste si tratterebbe di un fatto gravissimo, che porterebbe a un’escalation.

Ieri Farideh Khamenei, nipote della Guida suprema, è stata condannata a 15 anni, pena ridotta a tre, per critiche al regime. Quali sono le fratture interne alla Repubblica islamica?

Da decenni l’élite rivoluzionaria è estremamente frazionata, con visioni molte diverse su quali debbano essere le linee per garantire la sopravvivenza del sistema di potere: i riformisti (ormai del tutto marginalizzati), moderati, pragmatici, conservatori tradizionali, ultraradicali e, sullo sfondo, la formidabile crescita di potere dei pasdaran a livello politico, economico e militare. Entro certi limiti, queste tensioni interne erano sempre state tollerate. Negli ultimi anni il sistema ha deciso di compattarsi e marginalizzare, se non addirittura eliminare, alcune correnti. Questo ha irrigidito il sistema e reso più difficile dare una via di sfogo alle diverse visioni.

Dove possono portare queste fratture?

È in atto uno scontro tra quei conservatori che vogliono il pugno di ferro e quelli che invece cercano di non esasperare le tensioni e quindi di limitare la repressione. Queste divisioni hanno fatto rientrare in gioco l’ex presidente riformatore Mohammad Khatami che ha parlato di richieste di libertà che devono essere ascoltate. Difficile fare previsioni, la variabile sono i pasdaran, che finora si sono tenuti prudentemente fuori dalla repressione.

Finora la repressione è stata messa in atto dai poliziotti. Come mai le proteste del 2022 non hanno una leadership esterna al sistema di potere?

Fino a qualche anno fa il sistema di potere permetteva un certo tipo di dissenso moderato, pensiamo ai presidenti Khatami e per certi versi anche Rohani che non rappresentavano la linea più radicale. All’esterno, invece, i fuoriusciti sono spesso finiti nelle mani di gruppi che non hanno alcun credito in patria, come i nostalgici della monarchia e i Mujaheddin-e Khalq che hanno casse di risonanza e contatti in Europa e nell’establishment politico conservatore americano, ma che non godono di alcun credito nella società iraniana.

Che cosa si può fare per aiutare le correnti più moderate?

L’Occidente è paradossalmente sempre andato in soccorso ai conservatori. Abbiamo avuto delle politiche di grande chiusura, pensiamo alla disastrosa decisione del presidente Usa Trump di ritirarsi dall’accordo nucleare. Firmato nel 2015 dal predecessore Obama, avrebbe permesso uno sviluppo profondamente diverso.

Ieri il Canada ha annunciato sanzioni contro 22 alti membri del sistema giudiziario, penitenziario e delle forze dell’ordine iraniane e alti consiglieri dell’ayatollah Khamenei e media a controllo statale. Le sanzioni funzionano?

Non fare nulla aiuta il regime, ma imporre sanzioni indebolisce quelle correnti che più guardano verso l’Occidente. Ogni qualvolta si fanno grandi pressioni, aiutiamo la parte peggiore del regime che può così affermare che chi dialoga con l’Occidente è un traditore.

In quale misura l’Iran è diverso dai paesi vicini?

È un paese unico, la società iraniana è molto matura e ben più solida, anche nell’integrazione delle donne e nonostante le ovvie difficoltà. Al di là delle differenze etniche, religiose e culturali e dell’evidente non sopportazione del regime, gli iraniani hanno un fortissimo senso identitario che li rafforza. Dobbiamo usare cautela nell’immaginare un futuro dell’Iran sulla falsariga della Siria, dell’Afghanistan e dell’Iraq.

Mentre i riflettori sono accesi sull’Iran, che cosa succede in Arabia saudita?

Solo durante i mondiali di calcio 12-15 persone sono state giustiziate in Arabia saudita. Il nostro sistema valoriale è miope quando guardiamo ai nostri alleati. E non abbiamo speso grandi parole per le migliaia di immigrati morti per costruire gli stadi in Qatar.