Masha Amini, murale di Clark One e HeartCraft, nel tunnel delle Tuileries, foto Ap
Cultura

I nomi parlano e svelano la Storia

Murales di Clark One e HeartCraft, nel tunnel delle Tuileries – Ap

Anticipazione La scrittrice iraniana, autrice del romanzo «Di notte tutto è silenzio a Teheran», pubblicato da Fandango, sarà a Più libri più liberi sabato 9, sala Cometa (ore 16,30)

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 6 dicembre 2023

Il 16 settembre 2022 Jina Mahsa Amini è stata uccisa a Teheran perché non portava il velo sulla testa come prevede «la polizia morale» iraniana. Come se ne scrive? Io ne ho scritto, una, due volte, ho messo in questi testi tutta la mia rabbia, la mia disperazione e la mia convinzione, che si propagava su di me dal coraggioso popolo iraniano che, da allora, si è ribellato con ancora maggior forza.

Ho visto un’infinità di video, o non li ho guardati, ho abbassato il volume e riportato gli occhi sulle parole. Ci si può fare molto male se non ci si difende dalle immagini della morte; persone a cui viene sparato per le strade, che vengono picchiate, maltrattate. La violenza ti salta addosso dal cellulare, non importa se tu sieda o meno tranquilla, nella tua casa, al sicuro. La violenza deriva dall’odio e dalla brama di potere. E deriva dalla paura di ciò che è incredibilmente potente: l’alleanza tra gli oppressi. Le persone scendono insieme in piazza, si difendono a vicenda. Gli uomini difendono le donne, le donne le persone queer, persiane, curde, il popolo baluci, studenti, lavoratrici e lavoratori. Queste sono le persone che si uniscono, che qui combattono e la violenza è la loro risposta.

DA SETTEMBRE 2022 seguire la rivoluzione significa vedere ogni giorno foto di persone che sono state uccise. Ogni giorno significa aggiungere nuovi nomi su una lista intima dei caduti. Alcune sono state giustiziate, altre torturate a morte mentre erano in stato di fermo, altre colpite da un proiettile mentre erano in strada. Alcune si sono suicidate dopo un periodo in prigione dove le hanno torturate, altre sono state uccise da attacchi alle scuole con gas tossici. Tutte sono state assassinate. Ed è per questo che è importante fare i loro nomi. I nomi parlano.

Il mio nome parla. Sono stati i miei genitori a darmelo. Appartiene a qualcun altro. Appartiene a una donna. Il mio nome appartiene a una donna, che è stata uccisa. Il mio nome appartiene a una donna che è stata uccisa e che aveva un cognome che io non conosco. Il mio nome è un insieme di domande, che non rivolgo ai miei genitori. Le domande porterebbero a risposte che porterebbero alla donna che è stata uccisa perché lottava per la libertà; mentre i miei genitori sono dovuti scappare perché hanno combattuto per la libertà; mentre io sono cresciuta nella libertà e porto un nome.

Il nome di mia sorella parla e tace anche. Nazli, sokhan begu, dice un verso del poeta iraniano Ahmad Shamlu, «Nazli, racconta». Nazli è un nome di donna turco. Il poeta scrive questi versi dopo la sua detenzione, ma non li scrive per una donna, ma per Vartan Salakhanian, un membro del partito comunista iraniano, che era con lui in prigione, prima che venisse giustiziato.

Nazli, sokhan begu, «Nazli racconta». Shamlu lo prega, finalmente, di parlare, lo seduce con la bellezza della vita e dell’esistenza, eppure: Nazli sokhan nagoft, «Nazli non ha raccontato». Shamlu non poteva rischiare di usare il vero nome di Vartan Salakhanian e quindi ricorre al nome Nazli. Per poter pubblicare la poesia nonostante la censura dello Scià.

Vartan non ha mai parlato, ha taciuto. Quando lo torturarono, quando lo maltrattarono. Quando gli strapparono le unghie e gli fratturarono le ossa. Vartan non ha parlato. Non ha raccontato nulla, rivelato nulla, non ha tradito nessuno tra i compagni e le compagne. Quando lo giustiziarono, il suo corpo era in uno stato a tal punto rivelatore di ciò che aveva patito che preferirono buttare il suo cadavere nel fiume Jajrud.

Shida Bazyar (foto di Tabea Treichel)

C’ERA CHI NASCONDEVA le proprie atrocità mentre Shamlu le rivelava, senza nominarle. Eresse un monumento a Vartan Salakhanian, senza mai pronunciarne il nome.
Mia sorella si chiama Nazli e il suo nome parla sul silenzio.

Ci sono persone della generazione mia o di mia sorella che portano qualche volta questi nomi che fanno capire qualcosa dei loro genitori, senza che debbano parlarne. Si presentano con i loro nomi e raccontano in questo modo dei loro genitori: dell’opposizione politica dell’Iran, che da sinistra si sono ribellati allo Scià e poi alle repubblica islamica. I nomi sono personali e sono una forma di opposizione. I nomi raccontano e raccontano in esilio, in tutto il mondo, per lo più in libertà. Ma nessuno lo capisce, perché quasi nessuno sa classificare questi nomi. A che cosa serve parlare, se non c’è nessuno in ascolto?

QUANTO SPESSO pronuncio il mio nome. Quanto spesso sento il suo suono. Quanto spesso lo vedo scritto da qualche parte. Quanto spesso compare nella mia firma (un lasciapassare per alcune cose), quanto spesso l’ho visto diffamato (e quante porte ha richiuso). Il mio nome è un accompagnatore che io non ho scelto per me, e racconta la sua storia. Ogni volta la racconta a bassa voce. Io non la racconto mai.

A volte mi chiedo perché non riesca a scrivere un testo in cui nascondo cose di questo tipo. Mi immagino come debba essere quando si riesce a scrivere liberamente, senza che ciò che scrivi debba continuamente trasformare la tua storia in una storia. Potrei provare. Scrivere un testo che sia libero da qualunque componente politica e che non dia nessuna indicazione del fatto che io abbia dei genitori che sono dovuti scappare via da qualche parte. Sarei capace di scrivere un testo così. Ma a cosa servirebbe. Alla fine comparirebbe il mio nome. Il mio nome tacerebbe, per la maggior parte delle persone. Ma io lo so che parla.

NON C’È BISOGNO di capire la poesia Marge Nazli (La morte di Nazli) per coglierne il dolore. La sua storia è una storia di solidarietà; chiamare Nazli propria figlia è il tentativo di non far piombare la solidarietà nell’oblio. Noi, le generazioni a venire, non dovremmo permetterlo. Ai nostri figli diamo giocattoli non tossici e nomi che parlano di fortuna e non di violenza. Un bambino venuto al mondo nel 2023 in Germania, con ogni probabilità, si chiamerà Emilia o Noah o Sofia o Leon.

Eppure, le celle in cui sono stati rinchiusi Ahmad Shamlu e Vartan Salakhanian, sono ancora lì e sono di nuovo piene e noi non conosciamo neanche i nomi di coloro che vi sono rinchiusi e non diciamo alcun nome; coloro che come Vartan Salakhanian non hanno scelto la loro vita ma la (auspicata) libertà degli altri. Eppure, ci sono davvero nomi che conosciamo. Nomi che parlano, che urlano, che si alzano per il dolore come solo si può fare di fronte all’ingiustizia. Mettiamo i loro nomi dietro gli hashtag e condividiamo le loro foto. Perché quei nomi non taceranno, finché noi li faremo parlare.

(Traduzione di Lavinia Azzone)

SCHEDA

Il libro

Shida Bazyar sarà a Più libri più liberi sabato 9, in dialogo con Pegah Moshir Pour (ore 16,30, sala Cometa) per parlare del suo libro «Di notte tutto è silenzio a Teheran», Fandango, pp. 288, euro 19). Quattro membri della stessa famiglia, quattro decadi, quattro voci per narrare la storia di un paese e il dramma degli esuli. 1979, Behsad, rivoluzionario comunista, si batte per un nuovo ordine dopo la cacciata dello Shah, racconta di azioni clandestine e di come trovi l’amore in Nahid, ossessionata dalla letteratura. 1989, Behsad e Nahid sono fuggiti in Europa con i loro figli dopo che i mullah hanno preso il potere, passano ore davanti alla radio e in attesa di lettere in codice sperando in notizie sui loro amici in fuga da purghe e carceri. Vogliono tornare e, allo stesso tempo, fanno prove per una vita lontano. Nel 1999 è la figlia maggiore Laleh che torna a Teheran con la madre. 2009, suo fratello Mo osserva le proteste pseudo-impegnate degli studenti tedeschi, ma poi a Teheran scoppia la Rivoluzione Verde che capovolge tutto il suo mondo. Dell’autrice, nata a Hermeskeil nel 1988 da una famiglia di esuli e attivisti politici iraniani, per Fandango Libri è uscito anche «Fuoco»

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