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I jihadisti globetrotter e le falle dei servizi di intelligence

I jihadisti globetrotter e le falle dei servizi di intelligence

Intelligence La mente degli attentati di Parigi era già conosciuto alle polizie europee

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 20 novembre 2015

«Soltanto il 16 novembre, i servizi di un paese extraeuropeo ci hanno segnalato la presenza di Abdelhamid Abaaoud, che ci risulta protagonista di almeno quattro degli ultimi sei attentati sventati in Francia», ha detto il ministro dell’Interno francese, Bernard Cazeneuve. Si tratta di una frase che consente di riflettere su alcuni elementi: in primo luogo su Abbaoud, considerato la mente dietro gli attentati di Parigi, una sorta di globetrotter del jihadismo, dichiarato morto dopo l’assalto alla palazzina di Saint Denis. Si tratta di un personaggio controverso, uno che raccontava di muoversi con facilità tra le frontiere europee al magazine Dabiq, che avrebbe portato pure il fratello tredicenne in Siria.

Un profilo bizzarro, cui evidentemente tante delle sue avventure sono state concesse da compiacenze a livello di servizi di sicurezza, quando – forse – personaggi invasati con una buona rete di contatti come quella di Abaaoud convenivano all’Isis e non solo. Cazeneuve, ci dice anche che Abaaoud era conosciuto dalle polizie europee da tempo, così come il suo gruppetto (definito «la cellula di Verviers»). E che questa cellula sarebbe stata sgominata nel gennaio 2015.

E proprio ieri a conferma della necessità di uno sforzo dei servizi di intelligence, gli stati Ue si sono impegnati a condividere maggiormente le informazioni dei propri uffici chiedendo «alle autorità nazionali di inserire i dati di tutti i sospetti foreign fighters in Sis II», lo Schengen Information System, e di «definire un approccio comune nell’uso dei dati». Quanto sostenuto dal ministro francese, poi, ci dice che probabilmente Abaaoud era conosciuto anche dai servizi di qualche paese extraeuropeo che dunque aveva avuto modo di «attenzionare» il soggetto anche durante le sue peregrinazioni extra Francia e Belgio.

Ci dice poi che nei movimenti di questi reclutatori, c’è lo zampino proprio dei servizi di sicurezza, cui conveniva, nel momento del supporto dei ribelli moderati anti Assad, qualcuno in grado di tirare dentro persone con l’obiettivo di dare del filo da torcere all’esercito siriano, ad esempio. Ma come tutte le creature che finiscono per prendere spazio e infine autonomia (vedi il discorso di Hillary Clinton proprio sull’Isis), cambiati gli assetti internazionali con l’ingresso prepotente della Russia sul fronte militare, anche i reclutatori di foreign fighters hanno finito per cambiare atteggiamento, focalizzandosi su altri obiettivi, rivolgendosi ad azioni in Occidente. Non solo, perché la frase del ministro dell’interno francese ci racconta anche come le probabili misure di allargamento delle funzioni dell’intelligence (come avvenuto già in Italia in questi giorni) e di aumento dei controlli delle nostre comunicazioni e la possibilità di criptare i nostri messaggi qualora lo volessimo (un po’ come facevamo e facciamo con le lettere che racchiudiamo dentro una busta anche se non abbiamo nulla da nascondere) non saranno la soluzione che consentirà di «sconfiggere l’Isis», perché – innanzitutto – è stato dimostrato che queste persone dialogano tra loro in chiaro, perfino con il telefono cellulare.

Come ha dimostrato The Intercept, inoltre, quasi tutti i protagonisti degli ultimi attentati di cui abbiamo notizia, sono persone ampiamente conosciute dai servizi di intelligence, spesso a causa di denunce partite proprio da esponenti delle comunità islamiche di riferimento (a smentire chi parla di ambienti musulmani, in termini generali, caratterizzati dall’omertà).

Il caso della «mente degli attentati di parigi» è esemplificativo: Abaaoud, aka Abou Omar Al-Baljiki, avrebbe a che fare con molti attentati in Francia e Belgio. Il 28enne belga è entrato nell’inchiesta sull’attentato al museo ebraico di Bruxelles per i contatti avuti con l’autore, Mehdi Nemmouche. Il 19 aprile, il nome di Abaaoud appare in relazione a un tentato attacco contro una chiesa di Villejuif. Il padre, Omar Abaaoud, senza notizie sui suoi figli, aveva avvisato le autorità e si era costituito parte civile contro di lui.

Poi era arrivata la notizia della sua morte in Siria, poi era apparso in un video alla guida di un’auto che trascina corpi mutilati. E per quanto riguarda Parigi, secondo il quotidiano belga la Derniere Heure, Salah Abdeslam, il terrorista in fuga dopo gli attentati di Parigi e dichiarato anch’egli morto nella serata di ieri, fratello del kamikaze che si è fatto saltare in aria al Comptoire Voltaire, sarebbe stato in contatto proprio con Abaaoud. Tutti avrebbero trascorso l’infanzia a Molenbeek, nella periferia di Bruxelles. Abdelhamid e Salah sarebbero stati anche insieme in carcere in Belgio nel 2010 dopo una rapina.

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