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I golpisti in Niger si appellano al popolo: «Tenetevi pronti»

I golpisti in Niger si appellano al popolo: «Tenetevi pronti»La manifestazione pro-golpe di ieri a Niamey – Ap/Djibo Issifou

Sahel Ieri, 63° anniversario dell'indipendenza, nuove proteste anti-francesi. Il generale Tchiani avverte contro «un possibile intervento esterno». E Biden chiede il rilascio del presidente deposto

Pubblicato circa un anno faEdizione del 4 agosto 2023

Ieri il Niger ha celebrato il 63° anniversario dell’indipendenza dalla Francia con migliaia di sostenitori della giunta militare al potere che si sono radunati a Place de la Concertation per un incontro organizzato dalla coalizione M62, raggruppamento di «forze politiche per la salvaguardia della sovranità e dignità del popolo».

TRA LA FOLLA alcune bandiere russe e numerose foto con l’immagine del generale Abdourahmane Tchiani, nuovo uomo forte del Niger e presidente del Comitato nazionale per la salvaguardia della Patria (Cnps).

Si sono sentiti anche molti slogan contro la presenza francese nel paese e contro la Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao) che, da domenica, ha imposto pesanti sanzioni economiche al paese.

I primi effetti sono già visibili in questi giorni: aumento esponenziale dei prezzi dei beni prima necessità e interruzione delle transazioni energetiche dalla Nigeria, che riforniscono il Niger per il 90% del suo fabbisogno.

IN UNO DEI POCHI discorsi pronunciati da quando ha preso il potere, il generale Tchiani ha messo in guardia contro un possibile «intervento militare esterno», chiedendo alla popolazione di «tenersi pronta a difendere la nazione».

Tchiani ha definito le sanzioni imposte dalla Cedeao «illegali, ingiuste e disumane» e ha elogiato il supporto ricevuto in questi giorni da Mali e Burkina Faso – entrambi guidati da governi militari – anche in un’ottica di lotta comune ai movimenti jihadisti presenti nel paese.

Pochi frutti sembra aver portato la mediazione della Cedeao, arrivata a Niamey martedì e guidata da un ex presidente nigeriano, il generale Abdulsalami Abubakar, che mirava anche al rilascio del deposto presidente Mohamed Bazoum, agli arresti nella sua residenza ma non ancora ufficialmente dimissionario.

Ieri si è concluso ad Abuja un nuovo summit di due giorni tra i ministri della difesa della Cedeao per discutere i prossimi passi nei confronti del Niger, in previsione dell’ultimatum che scadrà questa domenica.

Se da una parte la giunta militare ha incassato il pieno sostegno di Bamako e Ouagadougou che considererebbero un possibile intervento militare esterno come una «dichiarazione di guerra anche nei loro confronti», dall’altra la comunità internazionale insiste per «il ripristino dell’ordine costituzionale e democratico, con il rilascio di Bazoum».

Lo ha ribadito ieri il presidente degli Stati uniti, Joe Biden, dopo un colloquio tra il suo segretario di stato Blinken e Bazoum. Mercoledì gli Usa – come la Gran Bretagna – hanno ordinato l’evacuazione del proprio personale non essenziale dall’ambasciata a Niamey.

Un po’ diversa la posizione da parte di Mosca che, nonostante le distanze prese dai militari, è contraria a qualsiasi «ingerenza esterna», come ha affermato la portavoce del ministero degli esteri russo Maria Zakharova.

IERI POMERIGGIO Parigi ha dichiarato di aver concluso l’operazione per il rientro dei suoi cittadini presenti nel paese e di aver «sospeso fino a nuovo avviso» tutta la cooperazione con il Niger nei settori degli aiuti allo sviluppo, finanziari e dei partenariati militari.

Si fa sentire anche l’Onu che ha detto di «condividere le misure concordate dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale in risposta al colpo di stato in Niger», nella speranza di «evitare un possibile intervento militare che potrebbe coinvolgere tutta l’area», già fortemente colpita dal flagello legato ai gruppi jihadisti presenti nell’area.

«SOSTENIAMO gli sforzi della Cedeao per ripristinare l’ordine costituzionale e consolidare le conquiste democratiche – ha detto martedì l’inviato Onu per Sahel e Africa occidentale, Leonardo Santos Simão – ma siamo impegnati anche per una soluzione pacifica e per evitare una possibile deflagrazione della crisi in tutto il Sahel».

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