I giochi sono fatti: Figi dentro, Australia fuori
Rugby Pur rischiando la beffa finale - sconfitta 24 a 23 con il Portogallo - il team guidato da Simon Raiwalui è fra le otto squadre qualificate per i quarti finale della coppa del mondo. Si prevedono invece tempi di magra per gli azzurri
Rugby Pur rischiando la beffa finale - sconfitta 24 a 23 con il Portogallo - il team guidato da Simon Raiwalui è fra le otto squadre qualificate per i quarti finale della coppa del mondo. Si prevedono invece tempi di magra per gli azzurri
I verdetti dei gironi di qualificazione sono stati emessi. Le otto squadre ammesse ai quarti di finale della coppa del mondo di rugby sono Francia, Nuova Zelanda, Irlanda, Sudafrica, Galles, Figi, Inghilterra e Argentina. Il programma è il seguente: Galles-Argentina e Irlanda-Nuova Zelanda (sabato 14 ottobre), Inghilterra-Figi e Francia-Sudafrica (domenica 15). La sorpresa, se tale si può definire, è l’eliminazione dell’Australia, per due volte campione del mondo, a favore di Figi; ma gli sguardi più attenti avevano già colto questa possibilità nella crescita degli isolani nel corso delle ultime stagioni e nella crisi che da tempo attanaglia il rugby australiano. Figi ha tuttavia seriamente rischiato la beffa facendosi battere domenica sera 24 a 23 dal Portogallo, outsider assoluto e al tempo stesso grande sorpresa di questa edizione del torneo.
QUELLO DI TOLOSA è stato di gran lunga il match più pazzo e divertente finora andato in scena, caratterizzato da un susseguirsi di colpi di scena, una sfida di non altissima qualità tecnica (soprattutto per demerito dei figiani) ma che ha conciliato il pubblico con lo spirito del gioco. Figi, la favorita nei pronostici della vigilia, ha fatto tutto il possibile per complicarsi la vita disputando una partita confusa, piena di errori gestuali e di scelte sbagliate: tanto strapotere fisico, poca lucidità ma soprattutto “poca Figi”, ovvero poca imprevedibilità e capacità di colpire nelle fasi “rotte” del gioco, quando solitamente emerge l’estro dei melanesiani. A trovarsi invece a meraviglia nelle fasi più caotiche è stato il Portogallo che nei momenti più problematici e caotici ha messo in mostra sprazzi di gioco spumeggiante, guizzi, disciplina, combattività. Bollicine, ecco, a ricordarci quanto la nazionale lusitana sia innervata di rugby champagne, dall’allenatore Patrice Lagisquet, una dei migliori trequarti ala francesi, ai suoi stessi giocatori, spesso formati nelle scuole di rugby transalpino. Dei quindici titolari scesi in campo a Tolosa, ben undici giocano nei campionati francesi, un paio nel Top 14, sette nella seconda divisione, altri due in terza divisione. Riflessione: il campionato francese è oggi quello più in grado di formare buoni giocatori, per qualunque livello e qualunque taglia, ricordiamoci di Ange Capuozzo. In ognuna delle quattro partite disputate contro avversari ritenuti fuori dalla loro portata, i lusitani hanno sempre messo in mostra qualcosa di bello e vivace. Hanno pareggiato con la Georgia andando a un pelo dalla vittoria e conquistato una clamorosa vittoria nell’ultima partita, quando le squadre ormai eliminate spesso manifestano fatica e appannamento.
Ci siamo presentati a questo mondiale con un allenatore, Kieran Crowley, al quale era già stato dato il benservito dalla federazione. Quella di France 2023 è un’autentica débâcle che mette a nudo tutti i limiti del rugby italiano
AVREMMO voluto vedere qualcosa di quello spirito nella nazionale italiana. Non è andata così. Venerdì sera a Lione anche la Francia, dopo gli All Blacks, ha travolto gli azzurri. 60 a 7, otto mete a una. Mai l’Italia è stata in grado di competere contro un’avversaria ovviamente favorita ma soprattutto enormemente superiore in ogni singola fase di gioco. L’Italia ha cominciato subito male, perdendo palloni tanto nelle fasi statiche quanto nei breakdown mentre la Francia è stata più solida, più rapida, più potente e negli impatti ha sempre guadagnato la linea del vantaggio. I primi 25’ minuti sono stati un monologo dei bleus, in meta tre volte senza che gli azzurri, smarriti e sballottati, riuscissero ad affacciarsi nei 22 metri avversari. Una fiammata alla mezz’ora, una meta annullata a Ferrari (entrata scorretta) e da quel momento il morale della squadra italiana è definitivamente crollato. Poteva finire meglio? Sì, poteva. Bastava prendere atto dello stato reale del nostro rugby – ai gradini più bassi del cosiddetto Tier 1, l’élite mondiale e da anni sempre sconfitta nel Sei Nazioni con l’eccezione di Cardiff 2022 – e non coltivare aspettative prive di qualsivoglia riscontro nella realtà dei fatti. Ci siamo presentati a questo mondiale con un allenatore, Kieran Crowley, al quale era già stato dato il benservito dalla federazione. Quella di France 2023 è un’autentica débâcle che mette a nudo tutti i limiti del rugby italiano: la litigiosità delle sue componenti, la mancata crescita del suo movimento (ci cresce un po’, ce lo dice la nazionale giovanile, poi ci si blocca), le franchigie piene zeppe di stranieri di medio-bassa qualità, un massimo campionato che farebbe fatica a competere con la Pro D2 francese (la loro serie B), una strategia comunicativa da rivedere. Si prevedono tempi di magra e intanto a febbraio c’è il Sei Nazioni, la nostra venticinquesima partecipazione, e un filotto di cinque sconfitte già da mettere in preventivo salvo sorprese. Fare qualcosa, prima che la luce si spenga.
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