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I francesi non escono dallo choc

I francesi non escono dallo choc

Parigi Il silenzio «surreale» nelle corsie d’ospedale, le vittime non ancora identificate

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 18 novembre 2015

«Per due ore non è successo niente. All’improvviso, alle due del mattino, brutalmente, sono arrivate 40 ambulanze che hanno scaricato i feriti al pronto soccorso». È Il racconto della notte di venerdì fatto da Philippe Juvin, capo del servizio d’emergenza dell’ospedale Georges Pompidou di Parigi ai microfoni di ITele. Juvin descrive una situazione irreale. «Non è come nei film americani – continua il medico- dove la gente arriva urlando. Era esattamente il contrario. C’era un silenzio assoluto. Nessuno parlava. Anche i feriti che avrebbero dovuto urlare per il dolore, stavano zitti». Questo silenzio, così irreale, rappresenta bene quale choc abbia colpito i feriti, o semplicemente chi, in qualunque modo, abbia dovuto fare i conti con la strage di Parigi.

Sin dai primi momenti successivi agli attacchi, sono state approntate numerose unità di sostegno psicologico per i cittadini della capitale francese. All’inizio sembravano destinate ai familiari delle vittime o a quanti erano riusciti a sfuggire alla mattanza. In realtà, le testimonianze e i numeri di quello che è il più grave attentato della storia francese, hanno reso subito evidente che oltre allo choc individuale, ci sarebbe stato bisogno di far fronte a un trauma collettivo.

Il centro di sostegno psicologico più importante in questo momento è stato allestito nei locali del municipio dell’undicesimo arrondissement, il quartiere teatro degli attacchi più sanguinosi, tra i quali, il più drammatico è stato quello alla sala concerti Bataclan. Sono centinaia, fino ad adesso, le persone che hanno cercato un sostegno per riuscire a elaborare gli avvenimenti del 13 novembre. Non soltanto i superstiti o i congiunti delle vittime, ma anche semplici cittadini che non riescono a spiegarsi, e a spiegare ai propri figli, come sia possibile che a Parigi, in tempo di pace, si sia riprodotta una scena di guerra.

La ragione, rispetto agli attentati di Charlie Hebdo e dell’Hyper Cacher del gennaio scorso sta proprio nella dinamica dei fatti e, soprattutto nella scelta delle vittime. Dieci mesi fa erano stati colpiti dei giornalisti e dei cittadini di religione ebraica. C’era insomma, per quanto questo fosse folle, un criterio nella scelta delle vittime. Il 13 novembre, invece, non c’è stata alcuna selezione dei “bersagli umani” da uccidere, ed è questo, sostengono in tanti, che rende ancor più dura l’elaborazione degli eventi.

Particolarmente drammatica è la situazione dei parenti delle vittime, seguiti anch’essi da équipe di psicologi. Se, infatti, sembrerebbe che tutti i feriti siano stati identificati, non si può dire lo stesso per una decina di persone che hanno perso la vita negli attacchi. Almeno fino a ieri pomeriggio, dodici morti non avevano un nome e un cognome, il che rende ancora più straziante la vita di parenti e amici che attendono di essere convocati per un eventuale riconoscimento. Un ritardo dovuto anche alla concitazione delle prime fasi dei soccorsi, che non ha permesso un’identificazione puntuale delle persone prese in carico dai sanitari.

Un centro di sostegno specifico è stato allestito in Prefettura. È riservato agli agenti delle forze dell’ordine che sono intervenuti nelle zone dove i terroristi avevano colpito. La previsione di centri dedicati nasce dalla consapevolezza che una sindrome post traumatica potrebbe colpire gli agenti, anche alla luce del fatto che la capitale abbia subito due attacchi gravissimi in meno di un anno. Più in generale tutti gli operatori, dai giornalisti ai vigili del fuoco fino agli eletti, possono rivolgersi a unità specializzate nel trattamento della fase che segue il trauma.

«I pazienti hanno vissuto qualcosa di talmente incredibile, non rappresentabile da un punto di vista psichico, che rimangono bloccati, non riescono a esprimere, a sentire emozioni. Noi apriamo la porta a questo racconto, che è spesso cronologico, cercando di fare emergere le emozioni, in modo che poco alla volta riescano ad abbandonare questo mondo irreale e tornino nella realtà», racconta a FranceTv lo psichiatra Christophe Debien, in servizio nel municipio dell’undicesimo arrondissement.
In serata, il ministro della sanità, Marisol Touraine, ha annunciato che le cure per tutte le vittime degli attentati saranno gratuite.

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