Malgrado, stando alle sue stesse parole, «con ogni romanzo, tutta la mia vita cambia», una delle caratteristiche che fanno di Olivier Norek uno dei protagonisti del nuovo romanzo poliziesco europeo risiede nella capacità di far vivere i propri personaggi nel tempo, raccontandone le trasformazioni, ma soprattutto le ferite, e ponendoli di fronte a sfide sempre inedite. E spesso anche a nuovi mondi.

COSÌ, AL CENTRO de Il pesatore di anime (Traduzione di Maurizio Ferrara, Nero Rizzoli, pp. 396, euro 18) ritorna una delle figure più significative tra quelle create dall’ex flic che, prima della scrittura, si è fatto le ossa per più di quindici anni nei commissariati di banlieue della Seine Saint-Denis, il capitano Victor Coste, già protagonista della Trilogie 93, la serie di romanzi – ancora inediti nel nostro Paese – che hanno reso Norek un’autentica celebrità oltralpe e che evocano fin dal titolo il numero del dipartimento della vasta cintura periferica della capitale francese.

Di quel lavoro tra Le Der des ders, per dirla con un titolo di Didier Daeninckx, poi ripreso in una graphic novel da Jacques Tardi, Coste porta su di sé ogni genere di traccia, e spesso non sono quelle fisiche a fare più male. Per questo sei anni aveva accettato un incarico «in capo al mondo» e «in tutto quel tempo aveva preferito non dare notizie di sé, dubitando che qualcuno le volesse o sentisse la sua mancanza». Che si trattasse di una fuga, della ricerca di una «tana» dove nascondersi per tentare di non dover fare i conti ogni giorno con i fantasmi del proprio passato, soprattutto il fatto di non essere riuscito a proteggere i membri della squadra che aveva guidato a lungo, il capitano lo sapeva bene e, del resto, tutto era già evidente dalla destinazione che gli era stata proposta: l’arcipelago di Saint-Pierre e Miquelon, un frammento di Francia perso in mezzo all’Oceano Atlantico, non lontano dalla costa canadese.

QUI, COSTE È A CAPO del programma di protezione dei collaboratori di giustizia, tenuti al riparo da tutto e da tutti in una residenza-fortezza a picco sulle onde. Quello che appare a prima vista come un incarico di responsabilità, ma lontano dall’azione, si tratta di esaminare i candidati a questo tipo di tutela, finirà però per ricondurre lo sbirro di periferia di fronte all’orrore che pensava di aver lasciato a Parigi, a 4mila chilometri da dove si trova ora. Sarà l’arrivo di Anna Bailly, 24 anni, sopravvissuta quando non era che un’adolescente agli abusi di un vero orco che aveva già rapito e ucciso altre nove ragazzine, a rimettere tutto in discussione.

Anna va tenuta al riparo dall’uomo che un tempo l’aveva sequestrata e che avrebbe voluto ucciderla prima che gli agenti la trovassero imprigionata in una gabbia di ferro ricavata nella cantina di una vecchia casa semi abbandonata, là dove la campagna si confonde con i suburbi. Il suo rapitore non era però mai stato identificato e un altro sbirro, consumato dal lavoro e dagli acciacchi, il comandante Russo, non se n’era fatto ancora una ragione dieci anni più tardi. Mentre nel volto imperscrutabile della giovane le lacerazioni si mescolano al mistero. Quanto a Coste «non stava bene da molto tempo, e da molto tempo li aveva avvisati che non aveva più la stabilità emotiva necessaria a reagire con discernimento e moderazione». Con l’arrivo di Anna non ritroverà solo le paure e le incertezze di un tempo, ma anche la dolorosa consapevolezza che spesso la verità è infinitamente più complicata e, talvolta, perfino terribile.

OLIVIER NOREK, che ha spiegato di essersi ispirato almeno in parte alla vicenda di Natascha Kampusch, rapita quando non aveva che dieci anni e segregata dal suo aguzzino per gli otto successivi prima di riuscire a liberarsi, ha passato tre mesi a Saint-Pierre e Miquelon e ha scelto di far entrare prepotentemente la natura del luogo nell’intreccio narrativo: mano a mano che le certezze lasciano il campo al dubbio, l’intero arcipelago diventa ostaggio di un inquietante fenomeno atmosferico: una nebbia densa e immobile che avvolge tutto in modo ipnotico.