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I falsi volti, oltre il danno la beffa

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Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 16 luglio 2022

La chirurgia estetica ha conosciuto un boom durante la pandemia.

La chirurga estetica americana Haideh Hirmand, intervistata da Stéphanie Chayet («La chirurgia estetica, dallo studio medico a fenomeno sociale», Le Monde 11 Luglio), spiega l’esplosione delle richieste di intervento estetico con il passaggio della superficie sui cui ci riflettiamo dallo specchio allo schermo della comunicazione remota: «Con il ricorso massiccio al telelavoro, per la prima volta, le persone vedevano il loro volto in movimento. Gli uomini hanno particolarmente sofferto, senza dubbio perché sono meno abituati a guardarsi. Uomini o donne, tutti abbiamo visto allo schermo cose che non avevamo mai notato».

Le ricerche suggeriscono che gli interventi sul volto sono aumentati più fortemente di quelli sul resto del corpo.

Il vicepresidente dell’Associazione Americana di Chirurgia plastica ha affermato che «gli americani medi avendo annullato le loro vacanze avevano tempo libero, denaro da spendere, le mascherine per nascondere le cicatrici in via di assorbimento e un grande bisogno di sollevarsi il morale».

Nata come medicina ricostruttrice che ripara le malformazioni congenite e le cicatrici degli incidenti, la chirurgia plastica prospera oggi soprattutto come chirurgia puramente estetica.

Da parecchio tempo non è più tanto usata per le correzioni di un difetto (reale o concepito, piuttosto che percepito, come tale), quanto per costruire qualcosa ex novo, secondo modelli non personali, ma anonimi: una caricatura, inconsapevole ma significativa, fatta di luoghi comuni di bellezza che escludono il movimento e l’espressività del volto e lasciano apparire, sullo sfondo, la presenza ipnotica della maschera mortuaria.

I falsi volti e i falsi corpi ci aiutano a capire il funzionamento delle false notizie (le celeberrime «fake news») e il loro successo. Non sono esattamente informazioni menzognere, pur essendolo ovviamente sul piano formale, perché non si oppongono alle notizie vere, a cui non sono interessate, ma inventano una rappresentazione della realtà di sana pianta, secondo parametri che corrispondono alle attese delle masse (di una collettività priva di scambi reali, dei luoghi che li rendono conviviali e delle mediazioni politiche che li rendono duraturi e fecondi).

Più le notizie inventate sono eccitanti e inducenti un assetto paranoico, più attecchiscono.

L’associazione fatta da Hirmand tra l’aumento della tendenza a manipolare il proprio aspetto e il vedere il movimento del proprio volto sullo schermo del telelavoro, che evidenzierebbe di più i difetti estetici, manca il punto.

Nel guardarsi sullo schermo non si riesce mai a incrociare il proprio sguardo, né quello degli altri. Non è l’estetica il problema vero, ma il sentirsi ectopici, alieni rispetto a se stessi e alla relazione con l’altro che la falsa prossimità, creata dalla comunicazione a distanza, intensifica. La percezione espressiva del proprio viso può staccarsi dall’espressione di sé in uno sdoppiamento inquietante.

Ci si affida a uno sguardo esterno per ricomporre l’unità tra la propria immagine e la propria interiorità, ma a sfavore di questa ultima che è vissuta come destabilizzante.

L’intervento estetico motivato dalla necessità di offrire un’immagine di sé priva di contrasti e di profondità, obbedisce a esigenze omologanti, spersonalizzanti. Con la mano del chirurgo si disegnano sul viso le «linee guida» di un apparire senza sbavature né sfumature, senza ombre e senza luci che, tuttavia, eccedendo il senso comune che lo ispira, slitta nel caricaturale, diventa sbeffeggiante.

L’iscrizione kafkiana della condanna sulla carne del colpevole, trova qui una sua insospettabile realizzazione extra-letteraria. La morte del desiderio – l’appiattimento dello spazio interno sulla bella facciata, costruita per «sollevare il morale» – è beffarda: prende gioco di chi l’ha incautamente chiamata in soccorso.

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