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I due italiani rapiti da predoni

I due italiani rapiti da predoni

Libia Non sono stati i miliziani dell’Isis a catturare Danilo Calonego, Bruno Cacace e Frank Boccia, che il governo di Ottawa sembra affidare ai negoziatori italiani

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 21 settembre 2016

Non sono in mano ai tagliagole dell’Isis, i due tecnici italiani rapiti due giorni fa sulla strada alle porte dell’oasi di Ghat, in Libia: Danilo Calonego e Bruno Cacace. Almeno non sono gli uomini di Daesh ad averli catturati. A questa constatazione ci si arriva per deduzione – nel Fezzan, come confermano fonti algerine all’agenzia italiana Nova – non sono mai stati segnalati uomini di Daesh. Di Al Qaida nel Magreb islamico sì, ma non dell’Isis. Poi ci sono le dichiarazioni di fonti locali, a cominciare dai notabili della città-oasi.

Il sindaco di Ghat, Mohammed Qumani Saleh, ha detto ieri di aver ricostruito, forse grazie al racconto dell’autista locale trovato legato a un albero poco distante dal luogo del rapimento, chi li ha presi. «Sono nelle mani di un piccolo gruppo di fuorilegge», ha detto. Secondo un giornalista di Ghat, Hasan Osman Eissa, si tratta di una banda specializzata nei furti, specialmente di auto, e in rapine in quella zona di transito. Pesci piccoli, dunque, che forse si sono accorti solo dopo averli fermati con lo strattagemma della richiesta d’aiuto per auto in panne, di avere in mano un potenziale bottino molto più consistente del previsto: tre occidentali, due italiani e un canadese, per cui poter chiedere un consistente riscatto.

Su quest’ultimo uomo, il canadese, la cortina di silenzio raccomandata dalla Farnesina e dallo stesso premier Renzi è ancora più fitta: il governo di Ottawa non ha neanche confermato di essere conoscenza che un suo cittadino, di cui si conosce solo il nome – Frank Boccia – sia sotto sequestro in Libia. Parlando ai media internazionali, il portavoce del ministero degli Esteri canadese, Michael O’Shaughnessy, ha detto soltanto che «circolano notizie preoccupanti sul rapimento di un nostro connazionale in Libia ma al momento non siamo in grado di confermarlo» e comunque: «Siamo in contatto con tutti i canali appropriati per ottenere ulteriori informazioni». Come se il governo di Justin Trudeau preferisse lasciare ai colleghi italiani l’onere del negoziato per ottenerne la liberazione.

Del resto se venisse confermato che Frank, a differenza degli altri due italiani, esperti in meccanica e costruzioni, è un tecnico di radar e controllo del trasporto aereo, la sua posizione sarebbe in effetti la più delicata e invitante per una banda più grande, legata magari ai jihadisti, eventualmente interessata a una compra-vendita di ostaggi.

La ditta per cui i tre lavoravano fino a lunedì alle sette e trenta del mattino, ora della loro cattura lungo la strada che da Ghat porta a Tahala, è sempre la Conicos di Mondovì, che si trincera nel «massimo riserbo» prescritto dalla Farnesina. Il telefono della sua consociata libica, la Libya Branch a Tripoli, squilla addirittura a vuoto.

Da Roma il capo dell’unità di crisi della Farnesina Claudio Taffuri non si lascia sfuggire nessuna informazione in un briefing con la stampa. Ripete solo che la situazione viene seguita «ora per ora», che «sequestro-lampo non vuol dire nulla tanto più che in quelle zone anche la dimensione del tempo non è quella che abbiamo noi qui» e che comunque alle ditte italiane che continuano a lavorare in Libia, in una situazione complicata e rischiosa ovunque, era stato caldamente consigliato di tutelare i propri dipendenti con «sistemi di sicurezza», che vuol dire scorte armate.

Secondo un collega, Pier Luca Racca, che sarà sentito nei prossimi giorni dalla procura di Roma – ieri è stato aperto un fascicolo sul caso, affidato al pm Sergio Colaicco – intervistato da Repubblica, i due tecnici avevano effettivamente una scorta che però proprio pochi giorni fa gli sarebbe stata tolta, non è chiaro il perché. I due italiani non erano registrati all’Aire come lavoratori all’estero ma questo non è un giallo: neanche i quattro dipendeti della Bonatti sequestrati un anno fa a Sabratha in Libia avevano comunicato la loro posizione all’ambasciata, probabilmente per avere maggiore libertà di movimento.
Le figlie del primo matrimonio del bellunese Danilo Calonego, Simona e Pamela, hanno dichiarato che la sua missione di un mese in Libia sarebbe finita a fine settembre, quando il padre sarebbe dovuto tornare nel paese d’origine, a Peron di Sedico, a trovare l’anziana madre. Calonego si era in ogni caso convertito all’islam, sposando in seconde nozze una musulmana. Mentre il cuneese Bruno Cacace, per cui il parroco di Borgo San Dalmazzo ha organizzato veglie di preghiera, sarebbe dovuto tornare in Italia domenica prossima.

Alberto Manenti, il direttore dell’Aise, l’agenzia informazioni e sicurezza esterna, sarà il prossimo quattro ottobre in audizione dal Copasir, il comitato parlamentare sui servizi segreti, per riferire sulla situazione dei due rapiti. In questa fase ciò che alla Farnesina preme di più è che il rapimento non venga in alcun modo associato al recente invio da parte dell’Italia di un contingente di 200 paracadutisti della Folgore e 100 medici per rafforzare l’ospedale di Misurata, che serve le milizie che ancora non sono riuscite a sgominare l’Isis nella città costiera di Sirte.

Ieri il vicepresidente del Consiglio presidenziale del governo di unità libico guidato da Fayez al Sarraj, Moussa el Kouni, ha assicurato che il governo di Tripoli farà tutto il possibile per trovare i sequestrati. L’oasi di Ghat è ufficialmente sotto il controllo di Tunisi. Ma anche dal governo rivale di Tobruk si promette l’invio di «volontari» per «partecipare alle ricerche».

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