Negli anni ’70, in Italia, le donne che volevano abortire avevano due possibilità. O affidare la propria vita alle mammane che praticavano l’aborto clandestino, o prendere un aereo per pagarsi l’intervento nelle cliniche di Londra. Una condizione che selezionava il bisogno secondo la classe sociale di appartenenza.

La lunga, inarrestabile e alla fine vincente, battaglia per conquistare la libertà di scegliere se e quando avere un figlio, ha segnato uno spartiacque sociale (con la legge sull’aborto gratuito e assistito), politico (la divisione tra partiti pro e contro), antropologico (l’autodeterminazione del nuovo soggetto femminista, protagonista dell’unica rivoluzione italiana). Che nessuno potrà rimettere in discussione, anche se, alla luce dei fatti americani, c’è chi, anche nel nostro paese, plaude alla sentenza della Corte suprema americana, sfoderando vecchi arnesi della propaganda antiabortista.

Con tutte le differenze del caso, è la realtà che oggi attende le donne statunitensi, di colpo private della legge-ombrello federale. Dovranno ingaggiare una lunga lotta contro i governi degli Stati più retrivi e, nel frattempo, attraversare i confini per andare a interrompere la gravidanza dove le leggi lo consentono.

La battaglia sarà durissima perché se la violenza che subirono le donne italiane fu terribile, con il Movimento per la vita che esponeva nelle piazze i feti abortiti nei barattoli di vetro, quella che dovranno affrontare le americane sarà ancora più feroce e brutale, commisurata al livello di violenza di quella società, capace di uccidere i medici abortisti, di picchettare le cliniche negli Stati che praticano l’intervento. Le cronache di queste ore già raccontano episodi di inciviltà.

Negli undici Stati in cui l’aborto è già limitato o vietato vivono circa 70 milioni di persone e dunque è immensa la popolazione femminile che per ottenere un diritto dovrà ora rischiare la vita. Come accadeva in Italia con migliaia di donne uccise dai ferri di calza.

Ma si apre anche un’occasione storica, una fase di grande opportunità. Perché la decisione della Corte suprema non corrisponde agli equilibri esistenti nel paese, e dunque tutta la società americana sarà impegnata in uno scontro culturale senza quartiere, come rifletteva ieri su Repubblica, la scrittrice femminista, Erica Jong. Le donne e tutta la società dovranno costringere il Congresso ad approvare una legge nazionale.

Con il medioevale balzo all’America di cinquant’anni fa, i giudici ultraconservatori hanno acceso una miccia poderosa sotto la prossima campagna elettorale di metà mandato. Con la possibilità concreta di cambiarle il segno.

Assisteremo a uno scontro di enorme rilevanza politica, che spaccherà lo schieramento repubblicano e arriverà nelle contee più remote del paese, perché, come abbiamo imparato in Italia e in Europa, le donne, religiose o laiche, già madri o ancora ragazze non obbediranno né al padre, né al marito, né al prete. Scavalcheranno religioni e appartenenze sociali, partiti e chiese, per emanciparsi da chi pretende di decidere della loro vita.

Anche se il mondo sembra correre con la testa rivolta all’indietro, alla fine gli anticorpi della società democratica, e, soprattutto la forza delle donne, respingeranno i crociati della preistoria.