ExtraTerrestre

I ciclofattorini, il cyber Ottocento e Susanna&co.

Ho partecipato, lunedì scorso, al secondo tavolo convocato da Di Maio per la questione dei cosiddetti riders, chiamato così dalle loro aziende che parlano inglesorum per confonderci ma in realtà […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 5 luglio 2018

Ho partecipato, lunedì scorso, al secondo tavolo convocato da Di Maio per la questione dei cosiddetti riders, chiamato così dalle loro aziende che parlano inglesorum per confonderci ma in realtà dei ciclofattorini, come quelli degli anni ’50. A quanto pare il lunedì lo sto dedicando agli esperimenti antropologici: al tavolo c’erano tutti gli attori sociali riconosciuti più quelli che fino a qualche settimana fa erano gli invisibili, i senza casella sociale, ovvero i fattorini. Da un lato tutte le piattaforme digitali di consegna del cibo, alla parte opposta tutte le varie Conf (Confindustria e via dicendo). Su un lato lungo del tavolo il ministro e il suo staff, di fronte i fattorini, questi ultimi fianco a fianco con i segretari generali dei maggiori sindacati italiani. Vedere Susanna Camusso e compagnia affiancati al ragazzo che leggeva le rivendicazioni di tre Riders Union di Milano, Bologna e Roma è stato piuttosto straniante, visto che il sindacato tradizionale non ha mai rivolto il suo sguardo verso le nuove categorie proletarie, tanto che queste hanno appunto dovuto autorganizzarsi in una sorta di sindacatini locali e “abusivi”.

Del risultato del tavolo, e della conseguente incazzatura dei ciclofattorini avete letto dalle cronache. Qui mi concentro su alcuni aspetti interessanti dell’incontro, osservati dal punto di vista dell’infiltrato speciale. Anzitutto i ragazzi in certa di certezze e tutele: hanno parlato per primi leggendo due documenti, il primo a tre firme e il secondo prodotto dall’”Assemblea di lotta dei e delle rider di Torino”. Ambedue rivendicatori, con diversi livelli di durezza e di accusa dello stato distorto di un mercato sregolato, ma il secondo con qualche marcia in più, piuttosto abrasivo: anzitutto perché la parte datoriale veniva definita «padroni». «E se li chiamiamo così – chiarisce il portavoce – non è perché noi siamo nostalgici del ‘900, ma perché loro lo sono dell’800. Un ‘Ottocento cyber’ a base di smartphone e cottimo». Definizione splendida.

Dell’arretratezza civile e sociale della parte datoriale è abbastanza inutile parlare. Sciorinando dati, cifre e orgoglio imprenditoriale da «uomo che si è fatto da sé col duro lavoro», hanno rigettato in blocco la richiesta dei fattorini, il riconoscimento del rapporto di subordinazione, di fatto vanificando la ragione del tavolo. Molto più interessante invece osservare l’annaspare, ma con gran classe, dei segretari generali dei sindacati, che hanno mostrato di essere piuttosto all’oscuro del fenomeno. Di sicuro lo studieranno meglio in futuro. Mi è capitato di fare una lunga e piacevole chiacchierata con la leader Cisl, Furlan, che mi ha chiesto a quatt’occhi qualche particolare sulla vertenza, passando poi a parlare più in generale delle mosse del governo Lega-M5s. I particolari non vorrei darli, visto che si parlava in privato, però abbiamo concordato sulla domanda che sconcerta tutti: «ma come fanno a stare insieme?» Il punto sui diritti civili è predominante a questo punto della vita politica italiana, il salvinismo pare aver colpito duramente coscienze anche coriacee.
Da parte delle varie Conf ho sentito parole antiche, roba di fatturato, nuovi rami dell’economia; qualcuno, che ho subito rimosso, ha persino proposto la reintroduzione dei voucher. Pochissime parole, e solo di maniera, sul particolare che quei fatturati venissero fatti sulla pelle dei fattorini.

La mia impressione è che i riders faranno presto o tardi (credo presto) saltare il tavolo. Un’assemblea sommaria davanti alla sede del ministero ha lasciato esprimere la rabbia di chi ha visto rigettare il nucleo della rivendicazione: lavoro subordinato. Semplicemente perché lo è.

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