Riflettori puntati su Johannesburg dove oggi si aprono i lavori del XV Brics Summit. Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, puntano a un ampliamento del fronte emergente, obiettivo strategico di queste tre giornate, la cui difficile sfida sarà costituire criteri e principi condivisi che dovrebbero garantirne identità e coerenza. In discussione se incorporare nuovi membri e/o includere paesi associati, partendo dalle categorie già esistenti di Brics Plus e Brics-Africa Outreach.

La presidenza sudafricana lavora proprio sul rafforzamento di vincoli con l’Africa: il terzo giorno, degli oltre quaranta capi di Stato confermati, la maggior parte proviene dal continente africano, oltre che da America latina, Asia e Medio Oriente. L’aspettativa è alta, più di venti paesi hanno fatto richiesta di adesione e i membri attuali da soli compongono circa il 40% della popolazione mondiale e il 25% dell’economia globale. Altro tema in discussione l’unità di valore comune nelle operazioni commerciali e di investimento che non sostituisca le valute nazionali, ma crei un’alternativa stabile alle monete dominanti: in sostanza, non dipendere dal dollaro. In questo senso, una spalla sicura è la Nuova Banca di Sviluppo, creata dai Brics e attualmente presieduta dalla ex presidente del Brasile Dilma Rousseff.

SE QUESTA ALLEANZA economica potrebbe essere usata dalla Russia come paracadute per le sanzioni occidentali, il blocco di paesi emergenti – fin dalla prima riunione dei ministri degli esteri nel 2006 – ha agito di concerto nell’ambito del G20, del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, con proposte concrete per la governance finanziaria globale, come la riforma delle quote del Fmi approvata a Seul nel 2010. Ci si chiede se il summit sarà un’opportunità per ampliare i pochi spiragli nelle trattative di pace. Anche se non è nell’agenda ufficiale, molto probabilmente ne discuteranno in riunione privata i leader stasera (in videoconferenza il presidente russo, sarà presente il ministro degli esteri).

Una conferma arriva dal presidente brasiliano Lula che al Sunday Times ha dichiarato: «Dovremo discutere importanti temi globali come pace e lotta alle diseguaglianze» per poi parlare di post–war global institutions. Certamente lo scacchiere politico internazionale – a partire dalla crisi bellica – appare molto diverso da quando Jim O’ Neill nel 2001 nel suo paper The World Needs Better Economic BRICs richiamò la necessità di un cambiamento della governance economica globale e uno spostamento dell’asse del potere economico dal nord verso il sud globale. La guerra russo-ucraina ha riacceso un bipolarismo da cui sembra difficile intravedere vie d’uscita e che smentisce il principio dei Brics di un più equo ordine mondiale multipolare. Una delle voci critiche sul summit è Trevor Ngwane, attivista antiapartheid e docente di sociologia all’Università di Johannesburg: «La posta in gioco è aumentata dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. La guerra sta riconfigurando i Brics e forzando il ritmo perché si stavano evolvendo lentamente, cercando i propri passi, ma improvvisamente ora devono dichiararsi per gli Usa, la Nato o la Russia. È una situazione terribile soprattutto per il Sudafrica». E per il mondo intero. Oltretutto, se per «sud globale» si intendono movimenti di base o proposte di economie alternative, al momento questo «sud» sembra fuori dalla porta: a Johannesburg è prevista per domani una manifestazione di protesta contro guerre, violazione di diritti umani, diseguaglianze, autoritarismi, cambiamenti climatici, ecocidio.

TRA TENSIONI e strategie per nuovi equilibri e assetti a livello globale, a non essere messo in discussione dalle potenze emergenti sembra essere il modello di sviluppo che ci sta portando al fallimento. Per il resto, fatto salvo il capitalismo, nuove pagine di storia e di non facile lettura potrebbero aprirsi.