Al porto di Catania è il «day after». Sbarchi conclusi, telecamere più rade, un sole che sembra primavera. «Lasceremo il porto già oggi», dice Till Rummenhohl nella conferenza stampa mattutina, l’ultima. Il capomissione della Humanity 1 è un architetto navale e ingegnere oceanico di 30 anni. Ha il volto finalmente rilassato. È salpato da Palermo 26 giorni fa. Il 23 ottobre il suo equipaggio ha fatto il primo soccorso. Altri due nelle 48 seguenti, portando a bordo 180 persone. Che ci sono rimaste per due settimane. In condizioni sempre più difficili.

In mare e in porto Rummenhohl si è dimostrato sempre disponibile e tranquillo, anche nei momenti più difficili. Fino a martedì pomeriggio, quando ha annunciato che 30 naufraghi su 35 erano in sciopero della fame perché, avevano detto, «per scendere bisogna essere malati». In quel momento il ragazzo aveva la faccia segnata dallo sconforto.

«Per la prima volta mi sono vergognata di aver fatto bene il mio lavoro. Essere in salute era diventato un problema. Mi sono chiesta se stessi sbagliando», ha detto Silvia, dottoressa dell’Ong, in riferimento alla prima ispezione sanitaria che ha portato a terra solo i «vulnerabili».

Ieri intorno alle navi umanitarie aleggiava lo spettro di possibili blocchi. Invece pochi minuti prima delle 15 la Humanity 1 ha mollato gli ormeggi diretta al porto spagnolo di Burriana. Una motovedetta della guardia di finanza l’ha seguita fino al limite delle acque territoriali.

Alcune ore prima anche la Geo Barents si era mossa, ma solo per cambiare banchina. La nave di Medici senza frontiere, a meno di sorprese, dovrebbe ripartire oggi. Farà scalo ad Augusta. «Dopo i necessari rifornimenti e il cambio equipaggio torneremo nel Mediterraneo centrale per la ventesima rotazione», fa sapere la Ong.

Ieri pomeriggio sono iniziati i trasferimenti verso i centri di accoglienza dal Palaspadini, il palazzetto dello sport in disuso dove erano stati condotti anche gli ultimi 249 naufraghi sbarcati martedì sera per identificazione e fotosegnalamento. Tra loro anche Alaudin, nome di fantasia, che ha 20 anni ed è nato in Bangladesh. All’equipaggio di Msf ha raccontato di aver lasciato il suo paese per aiutare la famiglia. «Quando sono arrivato in Libia avevo tanti sogni, credevo di lavorare e guadagnare», ha detto.

Invece è finito in un incubo di sfruttamento, violenze e torture. E poi un rapimento. Concluso solo dopo che «i miei hanno venduto casa, terreni e tutto quello che avevano per pagare e liberarmi». Così è ripartito, verso l’Italia, e ha avuto la fortuna di incontrare la Geo Barents.

È andata peggio alle 16 persone salpate martedì dalla città tunisina di Biserta. Prima di arrivare a Lampedusa sono naufragate. Due vittime e quattro dispersi. Un’altra donna è morta ieri sulla maggiore delle Pelagie: era sbarcata con 42 persone da un barcone partito da Sfax. Presentava forti segni di ipotermia. I medici del poliambulatorio non sono riusciti a salvarla. Il bel tempo ha portato a Lampedusa una folata di sbarchi: cinque fino al tardo pomeriggio di ieri, per un totale di 375 persone.