Horacio Pietragalla Corti è rinato 20 anni fa, nel 2003, con un altro nome e un’altra identità. Oggi ha 47 anni. È un «nipote recuperato» dalle Abuelas di Plaza de Mayo. “Horacito” porta con orgoglio il cognome e il nome di suo padre Horacio Pietragalla, ucciso dalla dittatura argentina alla fine del 1975 e quello di sua madre, Liliana Corti, assassinata nel 1976. Sopravvissuto per miracolo al massacro dove è morta sua madre, è stato sequestrato e dato in “adozione” a una famiglia connivente fino a quando scoprirà la sua storia e riprenderà la sua vera identità. Ormai i ragazzi recuperati sono 132.

Pietragalla però non è soltanto un altro figlio ritrovato, Horacito ha fatto proprie le lotte dei suoi genitori partecipando e impegnandosi senza riserve nella vita politica argentina, prima come militante, poi deputato e ora, da quattro anni, come segretario di Stato ai Diritti umani.

Lo incontriamo a Roma dove è venuto per promuovere le attività internazionali della rete per l’identità delle Abuelas de Plaza de Mayo e più in generale i rapporti internazionali del governo argentino.

In quanto segretario di Stato ai Diritti umani cosa chiedete al governo italiano?

I nostri rapporti con l’Italia sono stati sempre molto importanti, quando in Argentina non era possibile processare i militari responsabili della desaparición, la scomparsa di migliaia di persone, la magistratura italiana lo ha fatto condannando, anche se in contumacia, un gruppo di questi. Ora chiediamo all’Italia l’estradizione di 4 imputati responsabili di crimini contro l’umanità durante la dittatura.

Quindi in Italia ancora si nascondono alcuni membri della passata dittatura 1976-1983?

Purtroppo sì. Si tratta di alcuni ex militari, come Carlos Luis Malatto accusato di sequestro di persona, torture e omicidi, per il quale ci sono nuovi capi d’accusa depositati lo scorso anno a Roma; Jorge Troccoli, militare uruguaiano già condannato all’ergastolo in Italia ma richiesto dalla magistratura argentina per altri omicidi rimasti impuniti; c’è anche Daniel Oscar Cherutti, un ex agente dell’Intelligence di Stato, che è accusato di crimini contro l’ umanità ora rifugiato in Italia; e infine c’è un prete che quando ha ricevuto la denuncia è fuggito in Italia, don Franco Reverberi, cappellano in un campo di concentramento a San Rafael, Mendoza, che ha trovato riparo a Sorbolo, in Emilia, paese d’origine di suo nonno.

Si cercano ancora i figli rubati ai desaparecidos, come mai dopo tanti anni in Argentina la ferita della dittatura resta ancora aperta?

I desaparecidos sono assenze che rimangono, sono delitti che non si prescrivono. Memoria, verità e giustizia sono le parole che hanno guidato la politica dei diritti umani durante i governi di Néstor Kirchner prima e di Cristina Fernandez di Kirchner poi. Attraverso loro l’Argentina ha fatto dei diritti umani una questione di Stato, un’etica fondamentale. Al giorno d’oggi sono stati giudicati con sentenza definitiva 1460 repressori. È un evento storico che condanna per ogni singolo caso un intero regime. Per la prima volta una dittatura finisce sotto processo. Il Nunca más, «mai più», è costruito attraverso le politiche della memoria e la giustizia che costituiscono la pietra miliare della democrazia.

Come spiegare ai giovani, dopo 47 anni, quanto accaduto durante la dittatura?

Crediamo che l’elemento che accomuna gli anni della dittatura con il presente sia il condizionamento economico delle grandi corporazioni, i «consigli» del Fondo monetario internazionale, quella spada di Damocle che, attraverso un inestinguibile debito estero finisce per fissare le scelte politiche. Oggi non ci sono desaparecidos né campi di concentramento come durante la dittatura, ma ci sono altre strategie, attraverso la magistratura, attraverso un massiccio uso dei media e dei cosiddetti social, che si vuole imporre il modello economico neoliberista. Anche per questo noi diciamo un altro Nunca más, mai più neoliberismo economico. È così che si riesce a costruire un ponte tra ieri e oggi, un ponte che attraversa la memoria storica, dove la difesa dei diritti umani è anche lotta contro lo sfruttamento dei popoli.

Horacito in piazza (foto Claudio Tognonato)

Cristina Kirchner ha recentemente parlato del passaggio delle consegne alle nuove generazioni, ha fatto riferimento proprio a voi, ai «figli della generazione decimata», siete pronti per rinnovare la politica?

In Argentina ci sono tanti giovani che partecipano attivamente alla vita politica. Finita la dittatura molti ragazzi si sono avvicinati agli organismi dei diritti umani, in primo luogo alle Madres e Abuelas de Plaza de Mayo che reclamavano giustizia per i desaparecidos. Ci siamo resi conto però che alla radice della violenza c’era un ordine economico, il neoliberismo. Abbiamo capito che tutta quella sterminata violenza serviva a imporre una struttura economica basata sulla supremazia del più forti. Il Cile e l’Argentina sono stati i laboratori dove si è sperimentato questo modello che poi è diventato globale. I diritti umani si basano sulla giustizia sociale ed economica.

In Argentina si parla spesso della grieta, la crepa che divide la società e genera un clima di odio che riporta il Paese a scenari di violenza che si credevano superati.

Questo clima ha avuto il suo apice con l’attentato a Cristina Kirchner. Finita la dittatura si era accordato un patto democratico che intendeva riportare dentro un clima di dialogo le differenze politiche, obiettivo mai raggiunto. Il 1° settembre dello scorso anno c’è stato un tentativo, fallito solo perché il proiettile si è inceppato, di assassinare Cristina Kirchner. L’ex presidente, ora vice, è da anni vittima di un clima di violenze sostenuto dal lawfare, la persecuzione giudiziaria che apre in continuazione cause per delegittimare l’azione dei governi.

Quale ruolo svolgono i media in questo conflitto?

La stampa in Argentina è concentrata in poche mani, il lawfare non potrebbe esistere senza un continuo martellare dei media. Non solo, i media egemonici, installano, montano dal nulla accuse che poi saranno riprese da settori dell’opposizione che intervengono attraverso denunce penali. Invece di portare il dibattito in parlamento si aprono processi in tribunale. Noi oggi associamo il lawfare al Plan Cóndor, prima era l’internazionale del crimine tra le diverse dittature della regione, oggi in diversi paesi e contesti la magistratura apre procedimenti contro i principali rappresentanti delle forze politiche che hanno il coraggio di sfidare i grandi monopoli per difendere gli interessi dei loro popoli.

Quindi il lawfare è presente anche in altre realtà dell’America Latina.

Dopo le torri gemelle gli Stati Uniti si sono un po’ “distratti” e negli anni 2000, in seguito al default dell’Argentina, sono sorti molti governi progressisti nella regione. Posteriormente gli Stati Uniti hanno voluto riprendere il controllo, invitando in America avvocati, giudici e magistrati a convegni e viaggi di ogni tipo. Certamente, in America Latina il lawfare è utilizzato per danneggiare l’immagine dell’oppositore. Il caso di Lula in Brasile è clamoroso, quando era al vertice di tutti i sondaggi è stato incriminato più volte e infine incarcerato impedendogli di partecipare alle elezioni vinte da Jair Bolsonaro. Lula, dichiarato poi innocente, è rimasto in carcere per più di un anno e mezzo. Alla fine, l’Alta corte federale di Brasilia ha respinto tutte le accuse e Lula è di nuovo diventato presidente del Brasile. Analoghi tentativi sono in atto in Ecuador, vittima l’ex presidente Rafael Correa, era già accaduto a Fernando Lugo in Paraguay ecc. ecc. L’intervento della magistratura stronca la sovranità popolare, prima accadeva attraverso colpi di stato, ora è la casta dei giudici a contrastare la volontà politica dei governi democratici.