È la fine dell’opposizione a Hong Kong. L’ex colonia britannica ha una nuova legge sulla sicurezza nazionale, che prevede pene più severe per gli oppositori. Dopo decenni di falliti tentativi, il governo ha approvato nel tempo record di 11 giorni la norma prevista dall’articolo 23 della Basic Law, la mini-costituzione locale. La legge, in vigore da oggi, prende di mira cinque reati: tradimento, sabotaggio, sedizione, furto di segreti di Stato, interferenza esterna e spionaggio con pene che arrivano fino all’ergastolo.

I più gravi, come tradimento e insurrezione, sono punibili con il carcere a vita. L’ergastolo sarà applicato anche ai reati di istigazione all’ammutinamento di un membro delle forze armate cinesi e collusione con forze esterne per danneggiare o indebolire la sicurezza nazionale. Sette anni di prigione sono invece previsti per l’appropriazione illecita dei segreti di Stato, da tre a cinque per possesso abusivo di segreti di Stato e da cinque a dieci anni di carcere per la loro divulgazione illecita.

C’è poi il reato di spionaggio, che prevede un massimo di 20 anni di detenzione. La vaghezza è caratteristica intrinseca della legge. Ora chiunque condivida informazioni riservate – anche se non sono classificate come segreto di Stato – potrebbe violare la norma se le autorità riconoscono le intenzioni del soggetto di mettere in pericolo la sicurezza nazionale. Si arriva così a contraddire il sistema di common law britannica, poiché basta solo l’intenzione, prima ancora dell’azione, a commettere un crimine. Così molti diplomatici o uomini d’affari potrebbero scegliere la via dell’autocensura per non condividere qualsiasi informazione o documento considerato «utile a una forza esterna».

In un governo guidato da un ex poliziotto come John Lee, la norma concede maggiore potere agli agenti per punire più duramente gli oppositori: la detenzione di sospettati si estende sino a 14 giorni dalla cattura, anziché 48 ore come in precedenza. La polizia può trattenere i passaporti dei condannati per evitare che attivisti e oppositori lascino la città, come avvenuto negli ultimi anni.

La nuova norma è stata approvata all’unanimità dagli 89 parlamentari del Consiglio legislativo – il parlamento locale – per colmare i vuoti della legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino nel 2020 e reprimere ulteriormente il dissenso. Secondo il capo dell’esecutivo di Hong Kong la legge, scritta e introdotta in maniera così rapida per confermare fedeltà alla Cina, è necessaria per dovere costituzionale. L’articolo 23 della Basic Law, approvato dopo le proteste democratiche di piazza Tiananmen a Pechino, stabilisce infatti che il governo di Hong Kong avrebbe approvato una sua legge sulla sicurezza nazionale.

Già nel 2003, le autorità locali avevano provato a promulgare la norma, ma avevano dovuto interrompere il processo legislativo dell’articolo 23 per le ingenti proteste di opposizione. Questa volta però è stato un percorso sgombro di ostacoli: grazie a un parlamento costituito da «soli patrioti» e ai dissidenti processati o in carcere.

L’approvazione della norma ha attirato di nuovo l’attenzione dei governi occidentali, tra cui Usa e Gran Bretagna, che condannano lo strumento liberticida nelle mani dell’esecutivo di Hong Kong. Dura la risposta di Pechino, che accusa ministero degli Esteri britannico e dipartimento di Stato Usa di «diffamare» l’articolo 23 che rafforza il controllo sulla società civile in nome della sicurezza nazionale. E che porta Hong Kong a essere sempre più una città cinese.