Hong Kong, l’attivismo politico ora è un reato
Asia Condannate con la legge sulla sicurezza nazionale 14 persone «colpevoli» di aver contestato il governo. Rischiano l’ergastolo. Critiche da Usa, Ue e Uk. Pechino: «Smettano di interferire con questioni cinesi»
Asia Condannate con la legge sulla sicurezza nazionale 14 persone «colpevoli» di aver contestato il governo. Rischiano l’ergastolo. Critiche da Usa, Ue e Uk. Pechino: «Smettano di interferire con questioni cinesi»
La partecipazione politica non violenta è ora un reato a Hong Kong. Nella giornata di ieri, il tribunale di West Kowloon dell’ex colonia britannica ha giudicato colpevoli di «cospirazione al fine di sovvertire l’ordine costituzionale» 14 tra politici e attivisti del campo democratico, arrestati nel gennaio del 2021 in base alla legge sulla sicurezza nazionale del 2020. I condannati fanno parte del gruppo noto come “Hong Kong 47”, relativo ai 47 attivisti pro-democrazia accusati di aver organizzato e preso parte alle primarie non ufficiali tenutesi nel 2020, nel tentativo di scegliere i candidati da presentare alle elezioni del parlamento locale.
ALLA CHIAMATA delle urne non ufficiali, nonostante le minacce delle autorità, circa 600mila cittadini si erano messi in fila per votare in quello che è stato ampiamente interpretato come un atto di protesta contro il governo. L’obiettivo dichiarato del fronte pro-democrazia era ottenere la maggioranza dei seggi del parlamento e porre il veto alla legge di bilancio, così da mettere in difficoltà l’esecutivo. Ma il governo non si fece cogliere impreparato e posticipò il voto parlamentare solo dopo aver introdotto la riforma del sistema elettorale, che consente la candidatura dei solo «patrioti» e fedeli al Partito comunista cinese.
All’inizio del processo, del gruppo dei 47, sedici avevano contestato le accuse mentre gli altri 31 si erano dichiarati colpevoli sperando di ottenere sentenze più clementi. Tra questi c’è Benny Tai, ex professore di diritto che mise in piedi l’impianto elettorale non ufficiale, e l’attivista Joshua Wong, volto delle proteste del 2019.
Con la condanna pronunciata ieri dai giudici scelti da un pool di giuristi selezionati personalmente dal leader di Hong Kong, i 14 dovranno attendere le prossime settimane per conoscere l’entità della pena, che può variare da un minimo di tre anni di carcere fino all’ergastolo. Tra i condannati ci sono figure di spicco dell’opposizione come Ray Chan, Leung Kwok-hung “Long Hair”, l’ex giornalista Gywneth Ho e l’attivista con doppia cittadinanza australiana e hongkonghese Gordon Ng. Due imputati, gli ex consiglieri distrettuali Lawrence Lau e Lee Yue-shun, sono stati invece assolti. Assoluzione comunque a rischio e che, secondo molti analisti e commentatori politici, serve al governo per rimarcare quanto il processo sia stato equo. Ma i prosciolti, ora liberi su cauzione, non possono tirare un sospiro di sollievo: la pubblica accusa vuole impugnare la sentenza contro la loro assoluzione.
Il processo, durato dieci mesi e senza giuria, si è concluso a dicembre, a più di mille giorni dal primo arresto. Questo perché alla maggior parte degli imputati è stata negata la libertà su cauzione. Dopo il verdetto, è stato pubblicato sul web un documento giudiziario di 319 pagine, in cui si spiegano le ragioni dei giudici: per la corte il piano degli imputati di ottenere la maggioranza nel Consiglio Legislativo – al fine di bloccare le leggi di bilancio e forzare le dimissioni dell’amministratore delegato se non avesse accettato le richieste del movimento pro-democrazia – avrebbe costituito un «abuso di potere» e creato «una crisi costituzionale di Hong Kong». Gli avvocati della difesa hanno sostenuto che la carta costituzionale della città prevede invece i meccanismi per un tale piano.
FUORI DAL TRIBUNALE non sono mancati momenti di tensione. La Lega dei socialdemocratici, una delle poche voci di opposizione rimaste a Hong Kong, ha tentato di organizzare una piccola protesta per chiedere la libertà dei 47 imputati. Protesta repressa con una serie di arresti.
Stati uniti, Unione europea, Gran Bretagna e alcuni altri paesi hanno criticato il processo in quanto motivato politicamente, chiedendo l’immediato rilascio degli accusati. Appello fortemente criticato da Pechino, che ha invitato «i critici della comunità internazionale a smettere di interferire» nelle sue vicende interne.
SI È QUINDI concluso il più imponente processo montato contro l’opposizione da quando la Cina ha imposto la legge sulla sicurezza nazionale. A oggi, circa 300 persone state giudicate colpevoli di crimini legati alla controversa norma, mentre solo questa settimana sette persone sono state detenute per la prima volta in base al nuovo Articolo 23 della Basic Law. Quello introdotto recentemente per colmare i vuoti legislativi della legge sulla sicurezza nazionale e per rafforzare il controllo sulla società e azzerare il dissenso.
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